La musica italiana è in lutto, stretta nel ricordo di uno dei cantautori più influenti di sempre: Toto Cotugno ci ha lasciati questa terra poche ore fa, ieri 22 agosto, dopo aver compiuto da poco ottant’anni. In eredità lascia il valore e la mastodontica forza comunicativa della semplicità, caratteristica che gli ha concesso di resistere anche alle mode del tempo come l’avvento della musica disco e dell’elettronica, trascinando gli ascoltatori in storie di ordinaria quotidianità costellate da emozioni autentiche e ottenendo un successo straordinario anche al di fuori dei confini del nostro Paese.
Un “eterno secondo” amato per sempre
L’amore per la musica di Salvatore, questo il nome di battesimo di Cotugno, emerge fin dall’infanzia, come testimoniano i suoi studi cominciati proprio in tenerissima età. Le sue prime esperienze in una band cominciarono dunque molto presto, spesso in qualità di batterista. Tuttavia fu con gli Albatros, gruppo fondato da lui stesso, che l’artista cominciò anche a cantare, riscuotendo già un buon successo. Non a caso soltanto due anni dopo la nascita, nel 1976 il complesso partecipa al Festival di Sanremo con il brano “Volo AZ504”, raccogliendo la terza posizione. Quello tra il cantautore e la kermesse ligure sarà un rapporto strettissimo che, nel corso del tempo, finirà anche per impattare sulla cultura pop e sui modi di dire del linguaggio colloquiale.
Parallelamente all’attività con gli Albatros, Cotugno comincia anche l’avventura come solista, facendosi notare con il 45 giri “Come ieri, come oggi, come sempre”. Il primo album, “Voglio l’anima”, è invece datato 1979. Nel mentre è da rimarcare una fruttuosa collaborazione con Adriano Celentano, per cui scrive “Soli”, conquistando il cuore del pubblico. Ma a livello di ricezione popolare, come accennato poc’anzi il nome del nativo di Fosdinovo sarà sempre legato indissolubilmente a quello di Sanremo. In riviera infatti Toto trionferà soltanto una volta, precisamente nel 1980 con “Solo noi”, per poi inanellare la bellezza di sei secondi posti, nello specifico con con “Serenata” (1984), “Figli” (1987), “Emozioni” (1988), “Le mamme” (1989), “Gli amori” e “Come noi nessuno al mondo” (insieme ad Annalisa Minetti, 2005). Un fattore per cui il musicista riceverà l’etichetta di “eterno secondo”, trovando però puntualmente il successo una volta terminata la gara.
“L’italiano”: il pezzo-simbolo
Paradossalmente, ma non è certamente una novità quando si parla di un evento così complesso come Sanremo, il brano più famoso dell’intera discografia di Cotugno ha centrato al Teatro Ariston soltanto il quinto posto. Stiamo parlando de “L’italiano”, canzone del 1983 in grado di conquistare tutta Europa, rimanendo a lungo nelle classifiche di Belgio, Germania, Svizzera e Unione Sovietica vantando migliaia migliaia di cover e di incisioni da parte di terzi. C’è un aneddoto che riguarda il pezzo in questione: non tutti sanno infatti che inizialmente Toto lo aveva proposto ad Adriano Celentano, in quanto particolarmente adatto alla sua tessitura. Ma il molleggiato, non particolarmente convinto dalla composizione, rifiutò l’offerta, commettendo un errore colossale. “L’italiano” infatti in pochissimo tempo diventò un vero e proprio inno Nazionale pop, con un testo che racchiude tra luoghi comuni e grandi verità il cuore pulsante del nostro Paese, da cantare con fierezza e grande senso di appartenenza.
La forza della semplicità ed il paragone con la musica di oggi
Anche se può sembrare un paragone azzardato, nella musica pop italiana (chiamata da alcuni impropriamente indie) esplosa nel 2016 c’è tanto, se non tantissimo, di Toto Cotugno. I nuovi cantautori infatti hanno ereditato dalla leggenda un modo di scrivere molto descrittivo, in grado di penetrare nei contorni più particolari della vita quotidiana. Esponenti di primo piano, come Calcutta e Carl Brave (solo per fare due nomi) hanno raccolto proprio la lezione di Toto, inserendo nei propri testi molti riferimenti alla vita di tutti i giorni (il caffè, il detersivo, la cucina), coniugandoli poi in uno spettro più ampio. L’eredità di Cotugno è molto più grande rispetto a quanto ci possiamo immaginare, ma lo scopriremo ancora di più con il passare del tempo, adesso che il compositore non è più tra noi. Buon viaggio, cantastorie della semplicità.
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