Si parla spesso di quanto sia importante il riciclo di tutti gli abiti usati che non si indossano più, ma raramente ci si sofferma su come questo processo avvenga effettivamente. Una reale presa di coscienza sui passaggi, le modalità, i costi ed i benefici di questa pratica purtroppo non è ancora avvenuta e, molto spesso, la sola buona volontà nel voler adoperarsi per fare la propria parte non è sufficiente. Re-cycling, up-cycling, decluttering e circolarità sono concetti che meritano un approfondimento completo perché l’inquinamento ambientale causato dai rifiuti tessili è (e sarà) uno dei problemi più seri per il pianeta.
Un po’ di numeri
Stime degne di far impallidire anche i più scettici. Solamente nel 2018, 110 milioni le tonnellate di fibre tessili prodotte in tutto il mondo, valori che nel 2025 sono destinati ad aumentare ancora raggiungendo i 130 milioni di tonnellate. Di questa moltitudine di filato, che spazia da abiti ad asciugamani a tessuti casalinghi e ritagli industriali, meno del 15% viene effettivamente riciclato, condannando di fatto l’85% di prodotti tessili alla discarica al termine del loro ciclo di vita. L’utilizzo medio di un capo d’abbigliamento a persona è diminuito di oltre il 36% in soli 15 anni. Questo significa che ogni capo che acquistiamo, – proveniente con molta probabilità da fabbriche di marchi fast fashion caratterizzate da processi produttivi non etici e altamente inquinanti -, è utilizzato molto meno prima di decretane il fine vita.
Se si pensa che per produrre poco più di un chilo di cotone sia necessario impiegare oltre ventimila litri d’acqua e che per realizzare una comune t-shirt ne servano ben 2700, viene facile intuire come l’impatto ambientale sia ben al di sopra della percezione comune. Solo in Europa gettiamo due milioni di tonnellate di prodotti tessili ogni anno di cui una buona parte finisce in Africa. Nairobi, capitale del Kenya, ospita una delle più grandi discariche tessili a cielo aperto, quella di Dandora, che ogni anno vede arrivare oltre venti milioni di chili di rifiuti tessili mai smaltiti che inquinano irreversibilmente terreni, aria e acqua.
Prima del riciclo
La prima cosa da chiarire è che un buon riciclaggio inizia prima del fine vita di un indumento. Il primo step infatti, – troppo spesso ignorato -, è l’avere una consapevolezza effettiva di cosa stiamo acquistando. Conoscere i materiali di cui è composto il capo, il processo produttivo e la modalità di trasporto sono solo alcuni dei dettagli indispensabili da apprendere se si vuole rendere davvero efficace il riciclo degli indumenti. Prediligere l’acquisto di vestiti composti da sole fibre naturali come la lana, il cotone, il lino, il bamboo ed il tencel permette di limitare drasticamente l’inquinamento al momento del loro smaltimento. Capi invece composti per lo più da viscosa, nylon, elastan e poliestere sono ricchi di microplastiche, altamente inquinanti per terreni e oceani.
Il secondo step è il declutterig. Declutter è un verbo inglese che significa “mettere in ordine”, “fare spazio”: non si tratta del semplice e stagionale cambio armadio. Il decluttering implica l’eliminazione volontaria di capi che non si indossano più e prevede una prima fondamentale cernita tra ciò che può ancora essere indossato, e ciò che va inesorabilmente gettato. Raccogliere invece è il terzo step, azione che segue regole precise: portare gli indumenti in buono stato e preventivamente lavati in punti raccolta appositi come i cassonetti dedicati all’happy ending dei capi che troviamo in molto punti delle città o in negozi dedicati.
Come avviene davvero il processo di riciclaggio?
Arrivati in fabbrica, centinaia di chili di vestiti vengono smistati a mano e il solo occhio umano è in grado di fare la prima importante selezione o classificazione. I capi raccolti sono suddivisi in venticinque macro categorie ripartite a loro volta in oltre ottanta sotto categorie che si basano su genere, tipo, età, materiale e condizioni. A questo punto, la sorte dei tessuti è stabilita e la divisione sarà tra ciò che verrà eliminato e ciò che invece verrà sfilacciato e rifilato.
È il caso di molti indumenti di lana che, grazie alla loro composizione naturale, possono essere scomposti e rifilati da capo. La produzione di nuovi tessuti infatti è alla base del concetto di circolarità, per cui un qualsiasi materiale può essere rimesso in circolo e riutilizzato un infinito numero di volte evitando così uno smaltimento dispendioso sia a livello economico che in termini di inquinamento.
Re-cycling e Up-cycling
Se con il ciclo canonico un capo solitamente viene valutato al ribasso, con l’up-cycling questo concetto si stravolge. Lo scopo è infatti quello di modificare, – nel percepito o nel concreto – , il suo valore, moltiplicandolo. Trasformazione e rigenerazione sono quindi concetti alla base del “riciclo verso l’alto”, in cui uno specifico indumento o capo è ri-lavorato. Un esempio sono le borse ricavate da parti di giacche, oppure i jeans o i realizzati creati grazie all’unione di brandelli di altri capi. In questo modo gli abiti diventano in un certo senso “unici”, diventando appetibili per la clientela vista la loro particolarità.
Consigli pratici per un riciclo corretto
Al fine di rendere il riciclo efficace è bene quindi seguire alcuni accorgimenti che agevoleranno il lavoro a chi si occupa dello smaltimento (o della rimessa in circolo). Attenzione a non gettare indumenti sporchi o maleodoranti: a queste condizioni infatti verranno comunque scartati a prescindere dalle loro effettive condizioni.
Importante poi non tagliare mai le etichette che risultano essere una vera e propria “guida” durante il processo di riutilizzo. In fase di smistamento infatti vengono esaminate per capire la reale composizione dei materiali. Senza un’etichetta, non ci può essere reale selezione, quindi neanche un successivo riutilizzo. Per le scarpe la situazione è ancora più complessa: una scarpa priva di lacci infatti non potrà mai trovare seconda vita.
La piaga dei resi
In ultimo, ma non per gravità, vi è il problema dei resi. Acquistare online è comodo e veloce, ma quante volte la taglia non è giusta, costringendoci a fare il reso? Proprio i vestiti resi, purtroppo, per oltre l’85% finiscono in discarica. Abiti nuovi e mai indossati aumentano ancor più l’inquinamento, oltre che lo spreco. Il lavaggio e la rimessa in circolo di un capo infatti costano molto più alle aziende rispetto al loro semplice smaltimento, preferendo quest’ultima soluzione in quanto più economica. Comprare online in maniera distratta e veloce è un danno reale che si ripercuote in maniera irreversibile su tutti noi. Il riciclo quindi è un’importante strategia per ridurre i danni provocati dall’industria della moda sull’ambiente e noi, come consumatori, abbiamo il compito ed il dovere morale di informarci e prendere coscienza delle nostre azioni, partendo da semplici gesti che possono andare a determinare un vero cambiamento.
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