Moda e intelligenza artificiale sono due attori che stanno interagendo fino a costituire un binomio sempre più coeso, non senza creare divisioni e controversie. Quando si parla dei possibili effetti dell’impiego sistematico dell’AI nell’industria della moda, il termometro sociale riporta temperature differenti, tra coloro che sponsorizzano, con entusiasmo, l’esplorazione delle potenzialità di una tecnologia in perpetua evoluzione, e quanti invece non possono che storcere il naso. Eppure, non si può non parlarne.
Un’istantanea
Al momento, i principali tool di intelligenza artificiale (tecnologia che imita la capacità della mente umana di svolgere compiti, imparare e migliorare nel tempo) impiegati nella comunicazione e nel design di moda sono DALL-E, Midjourney, ChatGPT e Runaway; i primi due sono capaci di produrre immagini a partire da prompt, ovvero richieste testuali, ChatGPT invece consente di generare testi, mentre Runaway crea video.
Il potenziale virale
Le recenti sperimentazioni, più o meno consapevoli, hanno creato caos in rete. In particolare, quando un’immagine di Papa Francesco in puffy jacket stile Balenciaga o Moncler è diventata virale lo scorso marzo, accendendo le polemiche sull’opulenza della Chiesa cattolica; Ryan Broderick ha definito l’incidente “il primo, vero, caso di disinformazione di massa generato da una AI”. L’autore di Monclero – così è stata rinominata l’immagine del Papa a passeggio per le vie di Roma, o forse Parigi? – Pablo Xavier, ha creato la foto per gioco e non avrebbe mai potuto immaginare di alzare un polverone del genere, con la maggior parte degli utenti che ha creduto si trattasse di uno scatto reale a tutti gli effetti.
Anche il Balenciaga-Harry Potter mashup ha fatto scalpore, sollevando una serie di interrogativi sul rapporto tra brand e AI, ed in particolare sull’impatto che quest’ultima potrebbe avere quando si tratta di brand awareness e image; è stato notato, per esempio, che il numero di visualizzazioni della trasposizione della pellicola di Harry Potter nell’estetica di Balenciaga è di gran lunga maggiore di quello dell’ultima sfilata del brand stesso.
I rischi
Si va dai timori che lo status quo degli addetti ai lavori possa essere messo in discussione e che alcuni di loro possa perfino perdere la propria professione a derive decisamente distopiche in cui i robot prenderanno il controllo delle nostre società. Gli uni, tuttavia, sembrano più verosimili delle altre; si pensi al recente annuncio di Levis di cominciare a testare modelli generati con l’intelligenza artificiale da impiegare nel proprio e-commerce. Altre preoccupazioni sono legate alla natura dei contenuti utilizzati per allenare l’AI; dal momento che a questo scopo si impiegano grossi volumi di dati, le stesse distorsioni e stereotipi, consci o meno, presenti nelle informazioni in entrata, potrebbero influenzare la natura degli output creativi. In tal modo, gli artefatti potrebbero essere condizionati dalle stesse idee precostituite, su genere, body type, età e così via, che si sta cercando di combattere dentro e fuori dalle passerelle.
Le potenzialità
H&M nel 2018 annunciò che le sue scorte di abiti invenduti ammontavano a 4 miliardi di dollari e che aveva intenzione di applicare la tecnologia AI e l’analisi dei dati per rendere più efficiente la propria catena distributiva, evitando gli sprechi. Anche il colosso del lusso LVMH nel 2021 rese noto di voler impiegare l’intelligenza artificiale per potenziare il business, in direzione di una shopping experience maggiormente personalizzata. Accanto a tali opportunità, è il carattere democratico di queste tecnologie, – specie quando applicate al processo creativo -, che sta catturando l’attenzione degli insiders. Nel 2018 Robbie Barrat, artista e graphic designer, creò un’intera collezione in stile Balenciaga, attraverso l’AI, che gli valse una collaborazione con Acne Studios. È evidente come questo processo favorisca l’espressione della propria visione creativa, bypassando una serie di limitazioni economiche e temporali, altrimenti condizionanti.
L’AI Fashion Week
Non si tratta più solo di hype, una vera e propria settimana della moda all’insegna dell’intelligenza artificiale, la prima nella storia, si è tenuta il 20 e il 21 aprile, con l’intento di:
“Spingersi oltre i confini, assumersi dei rischi e creare qualcosa di davvero unico”.
L’evento, aperto a tutti, ha ricevuto più di 350 iscrizioni, ma solo dieci partecipanti hanno potuto presentare le loro creazioni originali realizzate con l’AI. Tre di loro hanno vinto il contest e, grazie alla partnership con il retailer Revolve, potranno vedere le loro collezioni prodotte e materializzate nel mondo reale. Josè Sobral aka Patiff, Matilde Mariano e Ope hanno realizzato opere sorprendenti, le cui estetiche spaziano dal realismo sofisticato ad un futurismo ipertecnologico e glamour.
Se è estremamente difficile prevedere quali saranno gli sviluppi dell’AI e le conseguenze delle sue applicazioni nella moda e nelle arti, tuttavia, la tecnologia resta pur sempre solo uno strumento. Il suo uso non può prescindere dall’applicazione di un codice etico, nonché dalla creatività e dalla visione della mente e della mano che c’è dietro. Lo studioso Clayton Christensen, autore della teoria della “disruptive innovation” sostiene che lo sconvolgimento innescato da un’innovazione è un processo, e non è dovuto al prodotto o servizio di per sé. Sta a noi guidare questo processo.
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