Sicuramente nel corso del tempo le campagne pubblicitarie di moda hanno subito una evoluzione ed un cambiamento: come per ogni altro settore produttivo, si è presentata la necessità di proporre al proprio pubblico messaggi completamente rinnovati che fossero in linea con il periodo storico in cui stavano vivendo. In effetti, basta guardarsi intorno per capire che nella pubblicità trasmessa in televisione piuttosto che pubblicata su una rivista cartacea, è presente un’evoluzione sotto tutti i punti di vista: nel modo di proporre un prodotto e nel target su cui puntare. L’elemento di distacco dalla pubblicità degli anni Ottanta a quella di oggi è dato da un maggiore coinvolgimento del pubblico; negli ultimi anni la pubblicità di moda ha fatto sentire il lettore partecipe della sfilata.

evoluzione campagne pubblicitarie moda | Life&People Magazine

Tutti i settori produttivi hanno subito questa evoluzione stilistica e la moda,

che della pubblicità ha fatto la sua raison d’étre, si è fatta portatrice di queste novità. Ed è proprio per questo motivo che si potrebbe parlare di rivoluzione nella pubblicità di moda: è vero che evoluzione e rivoluzione sono due termini che stanno agli antipodi, eppure in questo caso il beneficio che la moda, – intesa come insieme di brand – ne trae è positivo dal momento che ogni stilista mira a restare al passo con i tempi e, quindi, anche la pubblicità deve essere aggiornata.

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Negli anni Ottanta nasceva la moda italiana  e le strategie comunicative rappresentarono un chiaro punto di partenza per entrare in un’epoca dove la pubblicità di moda diventava fondamentale per il successo di una collezione e le differenze rispetto agli anni Cinquanta e Sessanta, dove i fotografi ritraevano le modelle in pose statuarie ed eteree, vanno ricercate in nuovi stili di vita dove a dominare la scena sociale sono gli yuppies e non più la ricca borghesia a cui si ispirano i grandi sarti romani.

Dagli anni Settanta invece le cose cominciarono a cambiare:

il maggio del ’68 aveva fatto sentire i suoi venti di libertà in tutto il Continente, – Italia compresa -, e così si cominciò a respirare un’aria completamente differente anche nella moda dando, così, la possibilità agli stilisti di tradurre quella novità e quel cambiamento nei loro abiti; il primo ad aprire la strada fu Walter Albini poi arrivarono Missoni, Caumont, Ken Scott, Mariuccia Mandelli-Krizia che scelsero di staccarsi da Firenze e si spostarono a Milano per presentare le loro collezioni nel segno di una  maggiore indipendenza creativa e maggiori spazi. Nel giro di dieci anni il terreno era diventato fertile per dare la possibilità al prêt-à-poter, e quindi al Made in Italy, di affermarsi in tutto il Mondo. Gli stilisti diventavano arbitri dell’eleganza rendendo “la Milano da bere” un luogo di ritrovo dove tutto era possibile.

Sempre nei frizzanti anni Ottanta,

il potere delle griffe diventa fortissimo ed esercitato non solo tramite abiti prodotti con tecniche che andavano a sfiorare l’Alta Moda, ma soprattutto attraverso le campagne pubblicitarie. Un caso esemplare di quel periodo è Krizia: brand lanciato dalla bergamasca Mariuccia Mandelli nel 1954 arrivato a toccare la vetta del successo grazie a una serie di elementi stilistici che sono entrati nella memoria del pubblico, dalle stampe con gli animali, al plissé architettonico, ai contrasti di colori, alle ispirazioni artistiche di Klimt, Fontana, Kandinskij.

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Tutti questi elementi vengono mostrati nelle campagne pubblicitarie del marchio, dove gli still life scattati da celebri fotografi come Giovanni Gastel od Oliviero Toscani riescono a catturare lo spirito ribelle della griffe; in questi scatti è facile trovare delle modelle che si prestano a indossare la tuta-ventaglio – come nella collezione Autunno/Inverno 1981-1982 – , piuttosto che i golfini con le scimmie ricamate della Primavera/Estate 1982.

Ma siccome la moda è un fattore sociale, e nella società trova un riscontro,

deve adeguarsi ai cambiamenti legati al gusto collettivo ma anche alla sensibilità riguardo tematiche come il concetto di femminilità in cui la modella non rappresenta più la bellezza inarrivabile di Naomi Campbell o di Cindy Crawford ma preferisce puntare sulle waif, ovvero ragazze dall’aspetto “comune” che trovarono l’emblema in Kate Moss. Tra i vari brand che negli ultimi tempi si sono affacciati sulle passerelle parigine e che hanno fatto della pubblicità di moda un elemento importante su cui investire, c’è Amiri: nato nel 2014 dall’estro di Mike Amiri – designer losangelino con origini iraniane –. Questo marchio ora di proprietà del Gruppo OTB di Renzo Rosso ha saputo tradurre i cambiamenti sociali degli ultimi anni in campagne pubblicitarie ad hoc come quella della Primavera/Estate 2018, dove i protagonisti sono due giovani ripresi in un momento della loro vita quotidiana.

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Per cui, questa evoluzione-rivoluzione c’è stata veramente?

A quanto pare sì, sebbene la moda tenda a ritornare su strade che ha già percorso, basta guardare le advertising dei brand durante la recente Milano Fashion Week. Tuttavia il linguaggio moda non è più statico come quello degli anni Ottanta ma è diventato qualcosa di dinamico, pronto a ricevere ogni realtà.

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