È il tema più chiacchierato del momento, soprattutto dopo essere stato protagonista di una delle prime puntate della dodicesima edizione di Materchef, il mitico talent show culinario in onda su Sky. Ma che cos’è il  comfort food di cui tanto si parla? All’apparenza sembra molto semplice, ma in realtà dietro il “fenomeno” si cela una componente psicologica molto più complessa di quello che si possa pensare. 

Il significato di comfort food

Si intende qualsiasi alimento a cui ciascuno di noi, dunque qualsiasi individuo, attribuisce un significato, un valore o un carattere consolatorio, sentimentale oppure nostalgico.

La dicitura “comfort” è utilizzata in quanto spesso gli alimenti in questione ci accompagno nei momenti più tormentati. Tutto, dunque, può essere un cibo confortevole: dalla più classica vaschetta di gelato al barattolo di nutella, passando per piatti più elaborati (pensiamo alle lasagne della nonna, per esempio). Ma da cosa deriva tutto questo? Uno dei primi luminari a elaborare una connessione “consolatoria” tra mente ed alcuni elementi fu addirittura Marcel Proust nel suo romanzo “Alla ricerca del tempo perduto”. Nello scritto, datato 1913-2917, lo scrittore parlava apertamente del piacere dato da una madeline ingerita proprio in una giornata no:

«Sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto di madeleine. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii. Un delizioso piacere m’aveva invaso e subito m’aveva reso indifferenti le vicissitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita… non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale».

Il termine comfort food invece appare la prima volta in tempi più recenti, ovvero nel 1966, in un saggio incentrato sulla cura dell’obesità in cui si spiega che buona parte degli adulti in circostanze di particolare stress tendono a rifugiarsi in degli alimenti che li facciano sentire protetti in una sorta di riconnessione con l’età infantile.

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Perché amiamo il comfort food

Diversi studi, specialmente quelli oltreoceano, hanno scoperto che il nostro cervello possiede dei cosiddetti “punti caldi edonistici”: si tratta di sotto-regioni che amplificano tutte le sensazioni di gratificazione derivanti dall’assunzione di cibi zuccherati, salati e grassi. Mangiarli dunque provoca una reazione incredibile di dopamina, fattore che spinge l’individuo a cercare e quindi consumare nuovamente altri tipi di prodotti simili. Ma c’è di più, molto di più, In quanto oltre alla componente prettamente scientifica entra in gioco anche un fattore psicologico non indifferente. Sono infatti in tanti che oramai sottolineano come il comfort food spesso venga associato a dei ricordi felici e iper positivi, magari legati all’età infantile. Mangiare dunque un piatto proveniente dalla scatola dei ricordi dell’infanzia provoca un grande senso di rilassatezza e pace, portando il consumatore in una personale “bolla” affettiva.

Occhio ai rischi 

Come praticamente ogni cosa quando si parla di cibo, anche il comfort food nasconde insidie (in realtà facilmente intuibili) da non sottovalutare. Se la “consolazione” arriva soprattutto nel cibo legato all’infanzia, allora è possibile che si stia trattando di alimenti non propriamente sani. I nostri ricordi più graditi in ambito culinario legati alla giovinezza sono infatti costellati di dolci, panini, tramezzini, torte e fritture di ogni tipo.

Cos'è Comfort Food Life&People MagazineNei momenti di fortissimo stress, proprio quelli in cui lo “spettro” del “cibo felicità” fa capolino nella nostra testa, occorre dunque cercare di limitare i danni per non subire l’effetto contrario. Pensiamo ad esempio a una fase difficile della nostra vita, il classico periodo no. Assumere ripetutamente e a lungo termine per mero spirito di consolazione degli alimenti non sani non porterà delle scariche di dopamina, bensì dei propri sensi di colpa e una sensazione di malessere generale. Occorre quindi il senso della misura, sempre.

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