Un contenzioso che va avanti da ormai un decennio quello tra Adidas e Thom Browne, in lotta per l’utilizzo del logo a strisce. Una sentenza che aprirà nuovi orizzonti all’interno del settore: le tre strisce parallele sono di proprietà di Adidas?
Adidas vs Thom Browne: chi ha ragione?
La disputa ha inizio nel 2007 quando il Ceo di Adidas, dopo aver notato delle strisce equidistanti nelle collezioni di Thom Browne, contatta il designer americano che, intimorito dall’affrontare una causa contro il colosso dello sport, aggiunge una striscia nei suoi capi e opta per un four bar logo.
Le acque si placano fino al 2018, quando Adidas cita Browne in giudizio all’ufficio Europeo per la proprietà intellettuale e all’ Ufficio Marchi Statunitensi, rispettivamente EUIPO e USPTO. L’oggetto della citazione sono sempre le celebri barre utilizzate sia nel 4 bar logo, sia nel Grosgrain Signatur composto guarda caso da tre barre in rosso, bianco e blu. Anche questa volta la questione si risolve con la deposizione delle armi a seguito di un accordo privato tra le due parti.
Lo scontro entra nel vivo qualche anno dopo
È il 2020 quando Thom Browne, nell’ottica di voler ampliare le proprie collezioni, propone una linea sportswear. Abbigliamento e calzature sportive che presentano, in bella vista, le barre oggetto della lite. La ciliegina sulla torta la offre poi la partnership con il Barcellona, senza contare che Messi all’epoca è sponsorizzato dal marchio tedesco. Come risponde Browne a questo punto? Forte di una precedente sentenza del Tribunale dell’Unione Europea del 2019, chiede l’annullamento della registrazione del marchio, in quanto le tre strisce “non costituiscono un marchio figurativo ordinario, e non hanno un carattere distintivo”. Alla luce di questo l’utilizzo delle barre di Browne è a scopo esclusivamente ornamentale con fini esteticamente funzionali. Nessuna intenzionalità quindi nel voler confondere i clienti, come invece supporta Adidas nella motivazione della richiesta di otto milioni di risarcimento. Sette dei quali, a detta loro, sarebbero frutto della commercializzazione dei prodotti con le strisce, che agli occhi dei consumatori sarebbero evidente ”indicatore dell’origine delle merci Adidas”.
Nei primi giorni di gennaio gli avvocati di entrambe le parti si sono riuniti, alla presenza del designer newyorkese che sostiene che lo sport sia da sempre sua fonte di ispirazione.
Come andrà a finire? Thom Browne ha la meglio
Sicuramente si tratta di una sentenza che aprirà nuovi scenari all’interno del settore. Se infatti i due marchi sono per certi versi due poli opposti, entrambi sono uniti nell’obbiettivo di espansione verso nuove categorie. Fenomeno che sembra essere una tendenza attuale che accomuna gran parte dei marchi del sistema moda. Da una parte c’è Adidas, colosso tedesco dello sport, dall’altra c’è Thom Browne, designer di punta della storia della moda statunitense, che ha fatto della sartorialità il proprio tratto distintivo. Diverso quindi il mercato di riferimento, diverso il target a cui ci si rivolge, diverso sopratutto il prezzo dei prodotti (quelli di Browne decisamente più elevati) e il fatturato annuale. Thom raggiunge nel 2021 i 263 milioni di euro di fatturato, Adidas ne fattura nello stesso anno 21 miliardi. Eppure l’uno propone categorie di prodotto su cui il marchio tedesco è leader indiscusso, l’altro vuole entrare nel panorama di lusso della moda. La collaborazione Gucci X Adidas ne è un chiaro esempio.
La sentenza arriva nel pomeriggio del 12 gennaio. Browne può continuare ad utilizzare il suo logo a strisce che non viola, quindi, il logo di Adidas.
Thom Browne l’amore per le divise
Classe 1965 Browne è originario della Pennsylvania. Inizialmente l’obbiettivo di voler diventare un attore, messo da parte per il sogno di approdare nella moda. A fine degli anni Novanta arriva a New York, dove lavora sia come sarto sia come commesso per Giorgio Armani. Nei primi anni Duemila nasce la sua prima collezione di abiti maschili su misura, mentre nel 2004 l’approdo nel prêt-à-porter. I premi come designer dell’anno, e la fama dei suoi abiti impeccabili e striminziti lo rendono uno dei protagonisti della storia della moda Americana. Nel 2018 il suo marchio entra nell’orbita del Gruppo Zegna, che lo valuta 500 milioni di dollari, spinta ulteriore per la crescita del suo business. Nel 2022 poi succede a Tom Ford nella carica di presidente del Council of Fashion Designers of America, e la decisione di tornare a sfilare nella sua città durante la settimana della moda di Febbraio.
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