Danzatrice, coreografa e ricercatrice, Maria Grazia Sarandrea racconta la sua concezione antropologica della danza e del teatro rivelando in questa intervista esclusiva i retroscena del suo ultimo spettacolo Ebbò. Tamburo, canto e danza rituale in una performance coinvolgente e suggestiva di cui è autrice e interprete insieme a Giovanni Imparato. Divinità antiche e indigene prendono vita sul palco grazie anche al magistrale lavoro di Enrica Barbano, costumista teatrale, cinematografica e televisiva nota tra l’altro per il film Non abbiate paura – La vita di Giovanni Paolo II di Jeffrey Bleckner.

Percussioni, piume colorate e antiche danze: questa la magia di Ebbò

Laureata in Storia del Teatro e dello Spettacolo – conduce ricerche in India sugli stili di danza indiana e differenti generi coreutici – Maria Grazia concepisce il teatro come fusione di più elementi, un dialogo tra diverse culture. La coreografa romana ha ideato così una tecnica innovativa, chiamata Tribal, una contaminazione tra le antiche danze orientali e africane con la danza contemporanea.

Maria Grazia, qual è l’ispirazione che ha stimolato la creazione dello spettacolo Ebbò?

Il mio intento è quello di riproporre al pubblico di oggi lo spirito rituale all’origine del teatro. Anticamente le performance di tamburo, canto e danza avevano finalità sociali e servivano a determinare l’unione della comunità, erano infatti usualmente collegate a feste e ricorrenze annuali. Occasioni di preghiera e di offerta che garantissero inoltre un contatto più profondo con la divinità, con le forze protettive della natura. Ebbò è il frutto di anni di ricerche condotte da me e dal mio collega Giovanni Imparato, percussionista, musicista e cantante partenopeo, uno tra i maggiori esperti di Afrocubanía. Il nostro sodalizio artistico, che dura ormai da molti anni, si esprime attraverso suoni e movimenti ancestrali che ricongiungono la vita dell’uomo a quella dell’universo. Da qui nasce Ebbò, musiche e danze di diversa provenienza, dalla santeria cubana alla ritualità indiana, un inno alla vita, alla natura, all’amore nel suo significato più profondo. 

intervista Maria Grazia Sarandrea | Life&People Magazine

Quale mistero si nasconde dietro l’enigmatico titolo dello spettacolo?

Ebbò è un vocabolo della cultura Yoruba nella Nigeria occidentale e vuol dire appunto “offerta rituale”, una pratica comune a molte civiltà antiche e non. Attraverso l’espressione essenziale di tamburo, canto e danza, il rituale dell’offerta avvicina l’uomo alla natura, rendendolo partecipe di un universo in cui si percepisce chiaramente il legame con quel tutto che oggi abbiamo perso o semplicemente dimenticato. 

Maria Grazia, per realizzare i costumi di Ebbò si è avvalsa della preziosa collaborazione di Enrica Barbano, nota costumista cinematografica. Come vi siete conosciute?

Ho conosciuto Enrica Barbano nel 2003 quando lavoravamo entrambe in Rai nel programma “Dove osano le quaglie” condotto da Antonello Dose e Marco Presta, acclamati per la loro trasmissione radiofonica “Il ruggito del coniglio”. Con loro, ho lavorato per due anni consecutivi come danzatrice e coreografa, avendo modo di approfondire la conoscenza di Enrica. Dopo vent’anni posso dire che il nostro è un legame solido: Enrica ha infatti realizzato anche i costumi di “Uzumè che danza”, altro mio spettacolo.

intervista Maria Grazia Sarandrea | Life&People Magazine

Dunque l’ideazione dei variopinti costumi di Ebbò è stato un processo che vi ha visto lavorare fianco a fianco?

Sì, esatto. Ho raccontato a Enrica lo spettacolo, quali erano le mie fonti di ispirazione e quali gli obiettivi e lei mi ha capita al volo. Ha disegnato dei bozzetti sia per le danze dal vivo che per quelle in video, mescolando in entrambi i casi culture antiche e innovazione. È così che abbiamo dato vita a personaggi quali Yeggua, la regina del mondo sotterraneo nella tradizione Yoruba, oppure a Changò/Durga archetipo maschile e femminile allo stesso tempo identificato dal colore rosso. In questo caso le ho chiesto di disegnarmi un costume vermiglio con pantaloni e lei ha aggiunto delle piume dello stesso colore per dare ancor più maestosità al costume. Infine c’è Yemaya, la dea madre da cui tutto nasce, caratterizzata dal bianco e dall’oro. Enrica è un’artista magistrale che sa cogliere i minimi particolari per dare quel tocco di eleganza tale da arricchire notevolmente lo spettacolo.

Nello spettacolo Maria Grazia Sarandrea indossa anche una maschera indiana, cosa rappresenta?

Questa maschera in particolare proviene da Seraikella, una regione dell’India nord-orientale. L’uso della maschera è antico quanto il teatro: indossare questo oggetto magico conferisce all’interprete il potere di assumere un’altra identità, di diventare altro da sé. Si tratta di un elemento del mondo arcaico che fa viaggiare interprete e spettatore verso mondi altri, rievocando figure fantastiche, in un percorso di trasformazione interiore, trasformazione che è il senso stesso del teatro e lo spirito intrinseco di Ebbò.

intervista Maria Grazia Sarandrea | Life&People Magazine

Maria Grazia Sarandrea accennava a video proiettati durante lo spettacolo Ebbò; che funzione hanno?

Attraverso i miei spettacoli intendo riportare in vita la magia del rito, il legame con la natura e coinvolgere il pubblico in tutto ciò grazie ai colori dei costumi e all’energia di musica e danza. Allo stesso tempo, però, desidero anche rendere le mie performance attuali esplorando quindi le nuove tecnologie. Attraverso diverse espressioni artistiche – musica, danza, video, maschere e costumi – Ebbò è rievocazione di culti e divinità, uno spettacolo che coinvolge il pubblico emotivamente, una sorta di rito contemporaneo.

Quali, infine, i prossimi passi di questo spettacolo?

Ebbò è orientato al futuro, e il nostro intento – mio e dei miei preziosi collaboratori – è quello di coinvolgere sempre più spettatori in questo rituale collettivo. Non a caso lo spettacolo termina con una preghiera, un antico testo vedico indiano che recita così: che tutte le persone insieme possano gioire l’universo. Attraverso Ebbò desideriamo offrire un momento per gioire tutti insieme e ritrovare grazie al canto, al tamburo e alla danza rituali l’armonia collettiva.

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