Applausi a scena aperta, ovazioni, glamour e qualche polemica; è stata certamente una Prima della Scala a dir poco scoppiettante quella appena conclusa al Teatro meneghino oggi, mercoledì 7 dicembre 2022, grazie a un’opera, il “Boris Godunov” di Musorgkskij che ha mandato in visibilio il gremitissimo pubblico presente, tornato tra il parterre e il loggione dopo il terrificante periodo degli anni scorsi dettato dall’emergenza sanitaria.
Un allestimento monstre per l’Opera del russo
Anche questa volta a colpire è la scenografia, curata dal regista Kasper Holten con le scene sapientemente disegnate da Es Devlin, i costumi di Marie Ellekilde, i video di Luke Halls e le luci di Jonas Bǿgh. Tutti elementi perfetti per arricchire le splendide note del compositore russo, dirette dalla magica bacchetta di Riccardo Chailly.
La vicenda, dalle tinte cupe prosegue per certi versi il filone dell’Opera inaugurale scaligera, ovvero il “Macbeth” di Giuseppe Verdi. Questo grazie anche alla scelta del Maestro Chailly di selezionare la prima versione dell’Opera del 1869, molto più violenta e dirompente, con rimandi al capolavoro verdiano datato 1847. Un elemento che assume particolare interesse soprattutto pensando alla grande eredità che il lavoro di Musorgkskij ha lasciato nel corso del tempo, influenzando in modo netto buona parte della musica novecentesca distaccandosi dagli esempi più virtuosi delle scuole italiane e tedesche.
L’elemento più interessante è quello nella prima versione, denominata dai musicologi “Ur-Boris”, proposta seguendo l’edizione critica curata da Evgenij Levašev, la cui ricerca ha restituito alla storia della musica ben 23 battute completamente inedite, spalmate tra la scena dell’incoronazione, il risveglio e il sogno di Grigorij. Per alcuni possono sembrare poche, ma in realtà, rappresentano un vero pozzo di conoscenza e lungimiranza artistica fuori dal comune, tanto da riecheggiare – come sostenuto dallo stesso direttore – lo stile di Berg, pilastro del Novecento.
La messa in scena
Non era facile trovare il giusto equilibrio registico in una vicenda così complessa e viscerale. Kaspar Holten ha quindi confezionato una lettura particolarmente focalizzata sul senso del potere, della colpa e del tormento delle vittime al cospetto di un dittatore insaziabile della sua fame di dominio. Un personaggio che per certi versi rimanda al Riccardo III di Shakespeare. Anche se uno dei ruoli chiave nella visione del regista è il monaco Pimen, colui che scrive la cronaca delle vicende russe; costui è infatti l’incarnazione metaforica della verità, una sorta di giornalista che cerca in tutti i modi di combattere un sistema che fa di tutto per manipolare e censurare la realtà; non è quindi un caso la presenza sul palco di un maxi foglio cartaceo, rappresentazione visiva della storia tra passato e futuro.
Interessante anche l’impianto temporale: l’Opera è infatti divisa in due parti: nella prima si osserva Boris dall’esterno, nella seconda ci si addentra invece all’interno della sua mente, trasportando lo spettatore nella sua follia. Decisamente soddisfatto il pubblico alla fine della recita, che regala tredici minuti di applausi a cast, regia e orchestra. Tra i cantanti più apprezzati spicca senza dubbio il protagonista, il basso Ildar Abdrazakov, accolto da una vera e propria ovazione una volta raggiunto il proscenio.
Il lungo applauso a Mattarella e le proteste fuori dal Teatro
Come da tradizione, alle 18:00 ha fatto il suo ingresso nel Palco Reale il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricevendo una standing ovation durata poco più di quattro minuti. Il Capo dello Stato ha assistito allo spettacolo avendo al suo fianco la Presidente del Consiglio Europeo Ursula von der Leyen, la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, il Presidente del Senato Ignazio La Russa e il Sindaco di Milano Beppe Sala.
Si è trattato di un bel momento di distensione, culminato con l’esecuzione de “L’Inno di Mameli” e de “L’inno alla gioia”, dopo un pomeriggio contrassegnato da alcune proteste, più o meno divise in tre gruppi: una contro il carovita, l’altra avanzata dei collettivi studenteschi e un’altra, più raccolta, della comunità ucraina che ha trovato inopportuno da parte del Teatro alla Scala mettere in scena come Prima un’opera composta da un musicista russo con una trama metaforicamente di grande attualità. Critiche rimandate al mittente dallo stesso Mattarella:
«Polemiche non condivisibili, la grande cultura russa è parte integrante della cultura europea, non si può cancellare. Mentre la responsabilità della guerra è del governo, non certo del popolo russo o della cultura».
I look più interessanti
Scorgendo le silhouette nel foyer scaligero si intravede un unico stilista vincitore: Re Giorgio Armani. Il Re della moda italiano ha vestito centinaia e centinaia di signori e signore dell’alta borghesia milanese e non, oltre che diversi personaggi di punta, tra cui emerge la Presidente Meloni, elegantissima con una mise blu notte, l’attrice Alessandra Mastronardi apparsa in un velluto scollato molto lungo arricchito da un’acconciatura che schiaccia l’occhio agli anni 30′ oltre che Rocio Munoz Morales, splendida con un jumpsuit e cappa di perle sulle spalle.
Grande fermento poi anche all’arrivo di Liliana Segre, una delle prime a raggiungere la sezione autorità venendo ricoperta da una pioggia di applausi. Anche la senatrice a vita ha indossato un capo della maison Giorgio Armani, nello specifico un completo nero con camicia bianca, ornato da un soprabito di velluto viola e orecchini di perle.
Tra i tanti volti noti presenti infine anche attori come Sonia Bergamasco, Fabrizio Gifuni, l’architetto Italo Rota, il Direttore del Teatro Parenti Andree Reth Shammah oltre che intellettuali come Corrado Augias e Tommaso Baricco, tutti uniti in nome dell’arte e della socialità.
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