Dua Lipa non sarà presente ai Campionati Mondiali di calcio, in Qatar che si svolgeranno dal 20 novembre al 18 dicembre. La notizia è arrivata direttamente dalla diretta interessata oggi, 15 Novembre, tramite il suo profilo Instagram, dopo che alcuni rumors avevano dato per certa una sua partecipazione in occasione della cerimonia di apertura. La cantante, visibilmente adirata, ha colto l’occasione per rimarcare le condizioni disumane che imperversano nel Paese ospitante: dallo sfruttamento dei lavoratori alla repressione della comunità LBTQ, lanciando un monito:

“non vedrò l’ora di visitare il Qatar quando il Paese avrà adempiuto a tutti gli impegni presi in materia di diritti umani”.

C’è chi dice no

Quello di Dua Lipa non è l’unico rifiuto arrivato da una personalità del mondo della musica; in passato infatti anche Rod Stewart sembra abbia volutamente rinunciato a un compenso monstre di oltre un milione di dollari. Certo invece è il coinvolgimento in Qatar di Robbie Williams, Black Eyed Peas, J Balvin e soprattutto JungKook dei BTS. Ma quali sono le ragioni di questo astio? L’evento, osteggiato e volutamente boicottato da molti, è da anni sotto l’occhio del ciclone a causa di una situazione oltremodo deficitaria del Paese arabo in termini di diritti umani. Nonostante non ci sia un numero ancora certo, è ormai acclarato che durante l’allestimento degli stadi necessari per ospitare le partite – praticamente tutti costruiti da zero – sono morti più di 6.500 lavoratori migranti provenienti da Paesi poveri come Sri Lanka, Pakistan India e Bangladesh. Uno strazio amplificato anche dal comportamento delle massime autorità qatarine che, ad oggi, ne hanno ammessi soltanto tre, attuando un comportamento di negazione inaccettabile.

Dua Lipa Mondiali Qatar | Life&People MagazineSarebbero invece più di 100.000 i lavoratori sfruttati durante giornate lavorative lunghe anche diciotto ore, con abusi subiti ripetutamente a causa di leggi a dir poco evanescenti. A tal proposito, è opportuno sottolineare come le famiglie dei deceduti non abbiano neanche diritto a un risarcimento in quanto, secondo la legislazione del Qatar, le morti non considerate legate al lavoro (dunque tutte, considerato il modus operandi del regime) non hanno diritto a nessun tipo di riconoscimento economico.

La reclusione degli omosessuali

Altro tema cruciale che hanno evidenziato gli “oppositori” come Dua Lipa è legato alla reclusione degli omosessuali, orientamento sessuale in alcuni casi punito anche con la pena di morte, mostruosità ampiamente giustificate recentemente dall’ambasciatore dei Mondiali Khalid Salman che, durante un’intervista, ha rilasciato delle dichiarazioni semplicemente agghiaccianti in merito:

«L’omosessualità è haram ( “proibita” in arabo). È proibita in quanto una malattia mentale. Durante i mondiali di calcio arriveranno molte cose nel nostro Paese… Parliamo dei gay. La cosa più importante è la seguente: accetteremo tutti coloro che verranno da noi ma loro dovranno accettare le nostre regole».

Parole che non possono far rimanere indifferenti chi, come la cantante albanese, combatte e sostiene attivamente la comunità LGBTQI+. Anche in questo caso la legge che regolamenta il fenomeno è da brividi: l’articolo 296 del codice penale del Qatar prevede una punizione di cinque anni di reclusione per aver indotto, istigato o sedotto un maschio  a commettere sodomia o dissipazione. A questo si aggiungono i diritti limitatissimi delle donne vincolati dalla legge sulla tutela maschile del Paese.

Un Mondiale senza diritti è un vero Mondiale?

Quanto deciso da Dua Lipa apre a una riflessione commossa e sincera sull’argomento. Da sempre infatti il Campionato del Mondo di calcio, – per dispersione l’evento sportivo più seguito tra tutti -, è considerato come una festa. Una festa di colori, di folklore, di tradizione, di fratellanza, di sport. Può esserci mai vera festa in stadi costruiti  con lo spettro della morte, con lo sfruttamento, con la totale cancellazione della dignità dell’essere umano?

Dua Lipa Qatar Life&People MagazinePuò considerarsi davvero una festa un campionato organizzato in un Paese dove gli omosessuali – minoranza che ha già sofferto tantissimo – non possono essere liberi di difendere la propria identità e vivere la propria libertà conquistata dopo anni di sudore e fatica? Siamo sicuri che un campionato del Mondo senza diritti sia un vero campionato del Mondo?

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