I segnali che arrivano dal mondo del fashion non possono rimanere ignorati. Siamo di fronte a un prepotente revival dello stile disco-glam, scoppiato grazie alla moda notturna degli anni 70 e con il fondamentale apporto di Gloria Gaynor, dello Studio 54, de La Palace e di un intero movimento che trovava nello scintillio della pista da ballo la sua voglia di riscatto e la necessaria spinta di evasione. Un fenomeno che oggi viene tributato dai principali fashion designer non per vezzo estetico, ma per l’incredibile apporto che ha dato alla società.
La libertà identitaria degli anni 70 riflessa nella vita di oggi
Pensiamo ad esempio al capo sfoggiato durante lo scorso Met Gala 2022 da Amber Valletta, la quale ha sfoggiato una mise vintage di oro liquido firmato Azzaro. Oppure alla magnetica tuta danzante creata da Gucci per Dakota Johnson costellata da frange metallizzate, senza ovviamente dimenticare le centinaia di riferimenti comparsi in passerella, ovviamente riletti in una nuova chiave, da brand del lusso come Off-White, N.21 e Celine. Abiti che sembrano fuoriusciti proprio dalle atmosfere di due nightclub molto distanti geograficamente tra loro, ma uniti dallo stesso mood. Stiamo parlando dello “Studio 54” di New York e de “La Palace di Parigi”, i due luoghi culto della libertà sessuale pre-AIDS.
Il primo locale fondato nel 1977 nella Grande Mela
(al numero 254 della cinquantaquattresima strada tra la Settima e l’Ottava Avenue) da Ivan Schrager e Steve Rubell, due compagni di collage che ebbero l’intuizione di creare uno spazio anarchico, in cui divertimento, sesso ed eccessi confluivano diventando valvola di sfogo per alcune delle personalità artistiche più apprezzate della storia contemporanea; pensiamo ad Andy Warhol, Elio Fiorucci, Liza Minelli o Diane Von Fürstenberg, quest’ultima ad esempio sempre in pista con audaci stivali da cowboy.
Un anno più tardi, invece, dall’altra parte dell’oceano, verso est, nella capitale parigina sorge La Palace per mano di Fabrice Emaner. Si tratta di un dandy già proprietario di un club esclusivo, “La Sept”. Per quattro annate quel night diventa quindi il centro concentrico della trasgressione e della vita notturna: un luogo sicuro, frequentato da molti omosessuali, dove sono completamente azzerate le divisioni e le classi sociali: al suo interno infatti si trovano sia l’aristocratico che il più umile operaio, fattore che diventerà nel tempo il vero motivo del successo di un locale visitato spesso, tra gli altri, anche da Karl Lagerfield e da Yves Saint Laurent diventando dunque riferimento della comunità LGBTQ. La Palace recentemente riscoperta anche dalla maison Gucci, con Alessandro Michele, ha deciso di allestire proprio la sua sfilata Primavera/Estate 2019.
Nel 2022 si balla ancora per non dimenticare
Come capita con tutti i fenomeni culturali più impattanti, anche la disco music ha ricevuto un tipo di influenza molto importante prettamente legata al contesto sociale. All’epoca infatti si viveva la vita notturna per alzare la voce sui diritti civili, per la rivoluzione sessuale, o per dire no sulla guerra in Vietnam. Pensiamo – ad esempio – che nel 1974, l’anno zero del genere in cui la celeberrima “Never can say goodby” di Gloria Gaynor entrò a gamba tesa nella classifica americana di Billboard (dando il la all’ascesa della comunità black nella musica) lo Stato di New York vietava ancora a due uomini di ballare insieme.
Oggi, dunque, quando le maison decidono di tributare proprio la moda notturna degli anni Settanta non lo fanno per mero trend o per necessità estetica, bensì per mandare un chiaro messaggio e per accentuare proprio quella forza irreversibile di uscire fuori dal guscio, di abbattimento delle barriere, di euforia sociale e sessuale che si può riassumere con una sola parole: libertà. Lunga vita alla disco music… lunga vita alla disco glam.
Leggi anche: Roy Halston: lo stilista delle notti folli allo Studio 54 rivive nella serie tv Netflix