È la politica dell’Unione Europea che per contrastare gli effetti del cambiamento climatico ha deciso di prendere di mira le sfilate di moda riducendone il numero e dettando una nuova linea che andrebbe a influire non solo sui materiali dei capi, ma anche sull’uscita delle collezioni e sul turn over dei prodotti. Dopo il dichiarato obiettivo di mettere fine al fast fashion entro il 2030 con un pacchetto di norme che dovrebbero regolare il ciclo di vita di un prodotto evitando la cosiddetta “obsolescenza programmata” e imporre una percentuale di materiali riciclabili, la Commissione Europea starebbe valutando l’ipotesi di ridurre il numero di sfilate per contenere gli sprechi.

I dettagli della imminente direttiva svelati da Vivian Loonela,

capo della delegazione estone della Commissione Ue. Il piano troverebbe giustificazione grazie ad alcuni studi, in base ai quali nell’Unione Europea ogni persona scarterebbe all’anno in media circa undici chilogrammi di tessuti, soprattutto vestiti. Uno spreco insostenibile, poiché i vestiti scartati sono stati indossati appena sette/dieci volte. Nasce da qui l’idea di sviluppare una strategia tessile sostenibile, con l’obiettivo di dirottare il maggior numero possibile di articoli dagli scaffali dei negozi e dagli armadi delle persone verso programmi di riciclaggio e riutilizzo entro il 2030.

La moda finisce nel mirino di Bruxelles,

che accusa il settore tessile e del fashion di seguire processi produttivi che comportano molti sprechi. In realtà, limitare il numero di sfilate per ridurre lo spreco di abiti, sarebbe come pretendere di diminuire il numero dei dischi del panorama musicale, limitando i concerti. Una strategia che rischia di portare più danni che benefici, prima di tutto economici a danno di tutti i lavoratori che si spendono per la riuscita delle sfilate, pensate per essere sempre più grandiose e scenografiche. Non si tratta infatti di presentare semplicemente una nuova collezione, ma di convogliare in un unico evento la visione artistica di uno stilista, che raccoglie e assorbe l’attualità che lo circonda.

E’ il tema dello smaltimento dei capi di vestiario,

la vera vergogna dei Paesi occidentali che rimangono produttori di emissioni elevate di gas serra, dopo cibo, alloggi e trasporti, oltre a consumare grandi quantità di acqua e di materie prime. Il consumo di tessili è il quarto fattore più dannoso per l’ambiente e il cambiamento climatico in genere. Com’è noto infatti ogni anno i Paesi dell’Unione Europea scaricano montagne di rifiuti tessili, per lo più vestiti dismessi, nei territori più poveri del Pianeta, soprattutto in Africa. Un problema che non si risolverebbe riducendo il numero di sfilate annuali.

Leggi anche – All’asta i costumi di scena delle gemelle Kessler 

Condividi sui social