Riposano nella Silent Room della “biblioteca del futuro” Deichman di Oslo i primi sette manoscritti della “Future Library”. E aspettano che gli anni passino. Cento, per l’esattezza. Tanti dovranno trascorrerne prima che i testi vengano stampati. Nel 2014, l’artista scozzese Katie Paterson, con il supporto del Municipio norvegese, ha dato avvio al progetto di questa futuristica biblioteca del libro. L’idea è semplice, quanto affascinante. Ogni anno, un autore consegnerà un suo scritto inedito alla biblioteca e così, per cento anni. Nel 2114, un secolo dopo l’inizio del progetto, i manoscritti saranno stampati e, finalmente, potranno essere letti dai lettori del futuro.
Margaret Atwood è stata la prima ad aver sposato l’iniziativa
Nel 2015, l’autrice de Il racconto dell’ancella, romanzo dal quale è stata tratta la fortunata serie prodotta da Hulu, ha consegnato alla biblioteca il suo Scribbler Moon.
“Immagino le sue parole crescere tra gli alberi: un’energia mai vista, attivata e materializzata, e gli anelli degli alberi diventare capitoli dei libri”.
Così Katie Peterson ha commentato l’ingresso del manoscritto nella biblioteca realizzata con il legno della foresta di Nordmarka. L’anno dopo, a fare il suo ingresso nella “Future Library” è stato il manoscritto dello scrittore inglese David Mitchell (From Me Flows What You Call Time). Nel 2017 è stata la volta del poeta islandese Sjón e del suo As My Brow Brushes On The Tunics Of Angels or The Drop Tower, the Roller Coaster, the Whirling Cups and other Instruments of Worship from the Post-Industrial Age.
The Last Taboo è il titolo del manoscritto consegnato nel 2018 dalla scrittrice turca Elif Shafak. Dear Son, My Beloved quello della scrittrice sudcoreana Han Kang (2019). Gli ultimi due manoscritti arrivati alla “Future Library” sono dello scrittore norvegese Karl Ove Knausgård e dello scrittore vietnamita Ocean Vuong. “Penne” internazionali, generi e stili diversi, come incentivato dall’ideatrice del progetto, che nella foresta di Nordmarka, alla periferia di Oslo, nel 2014, ha fatto piantare mille abeti rossi, il cui legno sarà utilizzato per produrre la carta con la quale verranno stampati i cento manoscritti.
Nel frattempo, quella parte di foresta dovrà restare intatta
Un progetto culturale che guarda all’ambiente, quindi, e che prova a preservarlo dalle insidie del disboscamento. Il messaggio lanciato è chiaro e forte: finché tutti i cento manoscritti non si troveranno nella Silent Room, gli alberi dovranno restare al loro posto.
Ma “Future Library” è molto di più.
È un progetto che ammicca alla società che cambia, che apre scenari inediti e, al momento, imperscrutabili e che pone interessanti interrogativi. A partire da quelli linguistici. Riusciranno i lettori del futuro a decifrare le lingue in cui sono stati scritti i cento libri o avranno bisogno di avveniristici traduttori o di ciò che la tecnologia sarà stata in grado di creare nei prossimi decenni? E, ammettendo che riusciranno nell’intento, saranno in grado di capire il senso di quelle parole che, ai loro occhi, apparterranno a un tempo passato, da libri di storia, se ancora ce ne saranno? Una sfida in divenire, quella lanciata da Katie Paterson agli autori di tutto il mondo, che aspetta di essere raccolta, ancora e ancora.
Ma la stanza del tempo in cui riposano e riposeranno i cento manoscritti ha anche un profondo valore simbolico. Quello di un’orma di sapere lunga un secolo; un testamento che l’oggi lascia al domani. Un domani che sembra lontanissimo, ma che quasi scompare di fronte alla vastità della storia dell’uomo, nella quale la scrittura ha ricoperto e continua a ricoprire un ruolo determinante. Come un paziente Caronte che traghetta avanti e indietro le menti più curiose che, tra poco meno di cento anni, troveranno un porto sicuro nella “Future Library”.
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