Un incredibile talento, una voce sensuale, un’attrice icona del cinema del secolo scorso amata da pubblico e critica, chi era la femme fatale, Marlene Dietrich? Per celebrare il trentesimo anniversario della sua scomparsa, avvenuta proprio il 6 maggio 1992, ripercorriamo la storia della diva di Berlino.
I primi anni di Marlene Dietrich
Marlene Dietrich
nasce a Schöneberg, in Germania, il 27 dicembre 1901. La sua vita è turbolenta sin dai primi anni dell’infanzia. Il padre, l’ufficiale di polizia militare Louis Erich Otto Dietrich viene a mancare quando ha soltanto undici anni. La madre quindi, Elisabeth Josephine Felsing, si risposa successivamente con un tenente di cavalleria, Eduard Von Losch, personalità che di fatto adotta la giovanissima Marlene. Da subito rapita nel mondo delle arti, dopo aver intrapreso gli studi in pianoforte e violino nel 1921 la giovane decide di studiare recitazione, iscrivendosi all’Accademia di Max Reinhardt. Fino alla fine del decennio quindi lavora con frequenza nel cabaret, riscuotendo un ottimo successo di pubblico e ottenendo sporadicamente qualche ruolo anche nel tanto ambito mondo del cinema.
La svolta con “L’angelo azzurro”
Il primo importante scossone della carriera della Dietrich arriva nel 1930, anno in cui il regista Joseph Von Sternberg le affida il compito di interpretare la cantante Lola Lola per il film “L’angelo azzurro”. Il pubblico rimarrà letteralmente ammaliato dalla voce dell’artista, contraddistinta da una timbrica roca e affascinante, peculiarità supportata da una femminilità misteriosa a tinte noir. L’attrice in poco tempo diviene il manifesto di questo tipo di femminilità, ammaliante, conturbante a ironica allo stesso tempo. Arriva quindi fulminea la chiamata da Hollywood, per conto della Paramount, casa di produzione a caccia di una personalità outsider da poter contrapporre alla magnifica diva Greta Garbo, già in stanza alla MGM.
Il sodalizio con Sternberg e l’attivismo antinazista
In soli cinque anni, dal 1930 al 1935, Marlene Dietrich gira altre cinque pellicole con Sternberg; proprio con il regista consuma tra l’altro una relazione amorosa tradendo di fatto Rudolf Sieber, con cui è sposata dal 1924 avendo anche una figlia, Maria, nata l’anno successivo. Grazie a “Marocco”, il secondo film dopo “L’angelo azzurro”, la diva riceve la sua prima candidatura al Premio Oscar. Tra le due guerre Marlène diventa a tutti gli effetti cittadina statunitense, partecipando attivamente in favore delle truppe americane intrattenendole durante il secondo conflitto Mondiale, fattore per cui le verrà conferita poi la medaglia della libertà.
Sfacciatamente antinazista, si rifiuterà sempre di tornare in Patria durante gli anni della dittatura di Adolf Hitler. Una scelta apprezzatissima da diverse parti per cui riceverà nel 1950 in Francia anche la Legion D’Onore. Proprio in questi anni però la carriera della nostra inizierà a vivere un lento declino. Con pochissima attività nel grande schermo, Dietrich si dedica infatti perlopiù al teatro con recitals allestiti a Broadway, Las Vegas e, guardando all’Europa, a Parigi.
Il declino e la morte
Il 1978 è l’anno dell’ultima apparizione cinematografica, avvenuta con “Gigolò”, film di Max Reinhardt che non riceve, almeno in prima battuta, un consenso così ampio. La diva scomparirà quindi definitivamente dalle scene a seguito di una frattura della gamba rimediata proprio sul palcoscenico, un incidente purtroppo non isolato secondo molti causato da un grande abuso di alcool. Seguiranno quindi altri tredici anni lontanissimi dai riflettori dove Marlene, praticamente disabile, tiene comunque vivissimi i contatti con l’esterno e con gli amici. Si spegnerà il 6 maggio a causa di un infarto. Una circostanza però smentita dalla sua segretaria personale dieci anni dopo, parlando espressamente di suicidio causato da una indigestione di farmaci.
L’attività durante gli ultimi anni di vita
Malgrado una condizione fisica davvero difficile da gestire, l’attrice durante la sua permanenza forzata a casa fu comunque molto attiva. l’attore e regista Maximilian Schell girò con lei ad esempio un documentario di ampissimo respiro, chiamato semplicemente “Marlene“: una produzione oltremodo complessa da realizzare. L’attrice infatti accettò il lavoro vietando però la ripresa della sua immagine e partecipando soltanto come voce narrante. Il docufilm, che ricostruisce la vita e la carriera della nostra con immagini e foto d’archivio a fungere da supporto, riceve la nomination agli Academy Awards come miglior documentario nel 1986, venendo però superato da “The Times of Harvey Milk” di Rob Epstein. Agli ultimi anni risalgono infine due libri rilasciati in un lasso di tempo ridotto: “Marlene Dietrich ABC” (1961, conosciuto in Italia come “Il diavolo è donna, dizionario di buone maniere e di cattivi pensieri”) e l’autobiografia “My life story” (1979).
La figlia Maria Riva smonta l’immaginario
L’unica figlia di Dietrich, Maria Riva, ebbe un rapporto decisamente conflittuale con la propria madre, tanto da venderne tutte le lettere, diari e documenti al Municipio di Berlino. Soltanto un anno dopo la morte, nel 1993, ha pubblicato una biografia declinata decisamente al negativo: “Marlene: an intimate memoir”. Più recentemente infine, nel 2017, sempre la figlia ha stampato un’altra produzione letteraria, “Marlene Dietrich: the life”, dove illustra in modo ancora più oculato il suo punto di vista sulla madre diva.
«Era come una regina – si legge – Quando parlava tutti l’ascoltavano. Non ha mai fatto una fila in aeroporto, non hanno mai controllato il suo passaporto e rimaneva stupita dalla bruttezza delle persone comuni quando le vedeva in luoghi affollati. Una terribile egoista, che parlava raramente con gli altri poiché ciò avrebbe implicato un certo interesse per le loro opinioni»
parole che, per quanto a tinte forti, sottolineano ancor più l’aurea tenebrosa ed estremamente particolare che emanava una delle dive più impattanti di sempre.
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