Quando Louis Vuitton ha annunciato la morte di Virgil Abloh il mondo della moda ha perso un battito. Per un secondo tutto si è fermato, per riprendere più tardi monco di un pezzo, imperfetto, incompleto. Quando scompaiono artisti (è il caso di chiamarlo così) di questa portata, per di più in condizioni così inaspettate, la botta è sempre forte, forse persino più del solito.
Virgil Abloh, scomparso a 41 anni dopo aver lottato contro il cancro, ci abbandona con un lascito immenso.
Non è un caso che l’imminente sfilata di Louis Vuitton in programma nei prossimi giorni al Miami Marine Stadium si intitolerà: “Virgil Was Here”. “Virgil è stato qui”, e ha impresso un’impronta indelebile, come quella che i primi astronauti hanno lasciato sulla Luna e che non si cancellerà mai.
Se c’è una cosa per cui verrà ricordato il genio di Virgil Abloh è l’inserimento di elementi streetwear nel mondo della moda di lusso. Una rivoluzione di non poco conto, considerato quanto elitario possa essere l’universo classico e pettinato dell’haute couture. Eppure lui ce l’ha fatta, riuscendo a superare barriere che nessun altro, prima di lui, era riuscito a scavalcare.
Cosa c’è voluto per questo cambio netto di rotta?
Il talento, l’ispirazione, il genio creativo che soltanto un ex ingegnere avrebbe potuto tirare fuori dal cappello. E’ bastata una sola sfilata per riuscire a rivoluzionare un intero sistema e una forma mentis di un settore storicamente molto legato ad una certa tradizione.
Gli appassionati di moda si ricorderanno di certo del primo runway show di Virgil Abloh come direttore artistico di Louis Vuitton. Ma prima facciamo un po’ di contesto e un piccolo passo indietro. Il designer inizia uno stage da Fendi a Roma nel 2009, un periodo in cui conosce quello che sarebbe diventato uno dei suoi più grandi amici. Il rapper Kanye West lo introduce allo scintillante showbitz e, resosi conto del suo talento, gli mette in mano la gestione della sua agenzia, Donda. Sarà proprio questo il primo passo verso un percorso artistico che lo porterà prima a conoscere Riccardo Tisci di Givenchy, poi a inaugurare il suo primo negozio e poi, come dicevamo, a diventare il responsabile creativo di uno dei maggiori brand di lusso al mondo.
La sfilata inaugurale per Louis Vuitton di Virgil Abloh lascerà tutti senza parole.
Con il suo mix di alto e basso, colorato e scuro, di moderno e passato, lo stilista lancia un messaggio potente, enorme. I tanto bistrattati Millenials possono ancora far parte del cambiamento, possono ancora creare qualcosa di nuovo, di controcorrente. Lo streetwear, fino a quel momento considerato robetta da outsider, diventa uno status symbol, un elemento di rottura di una generazione che ha ancora voglia di farsi sentire, sovvertendo i canoni estetici fino a quel momento codificati. Un messaggio per ricordare anche che la diversità è ricchezza e come, ormai, non si possa nemmeno più parlare di generi; perché ad essere al centro è solo e soltanto la contaminazione.
Ed ecco che sulle passerelle appaiono all’improvviso felpe, maglioni, denim strappati, tute, cappellini e sneakers, per di più dai mille colori. Via alle solite stranezze, agli abiti ricercati ed evidentemente scomodi, da indossare solo per le occasioni speciali. Con Virgil Abloh è di moda solo ciò che è libero per tutti, accogliente, semplice e soprattutto comodo. E in un batter d’occhio, con questo nuovo approccio, scompare il concetto stesso di quello che fino a poco prima era l’haute couture.
La prima sfilata di Virgil Abloh: un vero evento.
Svoltosi nella suggestiva cornice del Palais Royal di Parigi, lo show ha avuto un concept ben preciso e molto strutturato. Nella nota consegnata ai partecipanti, lo stilista aveva inserito il suo personale vocabolario, con il quale aveva spiegato il suo processo creativo esponendo alcuni dei concetti tecnici relativi alla produzione della collezione. Fra questi, uno dei più particolari è senza dubbio il Margielaism, una religione in tutto e per tutto dove come unico Dio c’è Martin Margiela.
Ma il tocco rivoluzionario di Abloh si è espresso non soltanto grazie al suo lavoro per LV.
Il compianto fashion designer sarà ricordato per sempre anche e soprattutto per aver fondato il marchio Off-White, con cui ha firmato (anche se non tutti lo sanno) due meravigliosi abiti da sposa. E, anche in questo caso Virgil Abloh ha voluto metterci del suo, stravolgendo le carte in tavola. Guardiamo per esempio al vestito da sposa di Hailey Bieber, che fonde i classici canoni nuziali con un tocco fresco e urban tipico del suo stile, che si concretizza nelle trasparenze in pizzo che mettono in luce tutto il fascino sexy della modella. Ma è firmata Off-White anche la creazione bridal per Giorgia Gabriele, che nel giorno più importante della sua vita ha indossato un abito con una speciale scritta rossa sul braccio destro. Una guida per lo sposo, affinché potesse appoggiare le mani proprio in quel punto durante la cerimonia.
Le sneakers: oggetto di culto.
Quello che però ha più probabilmente contraddistinto il lavoro di Virgil Abloh e che l’ha reso riconoscibile nel panorama mondiale è stata la sua attenzione nei confronti delle sneakers. Le scarpe sportive, comode e adatte ad ogni occasione, Virgil le definiva come “l’oggetto della memoria”, essendo il primo paio di scarpe che avesse mai indossato. Cruciale da questo punto di vista la sua collaborazione con Nike, che, nel 2017 aveva lanciato la collezione in edizione limitata The Ten, composta come suggerisce il nome da dieci pezzi, fra silhouettes Revealing e Ghosting. Una collezione che alla luce del suo straordinario successo, si sarebbe arricchita raggiungendo 50 distinte versioni della stessa scarpa.
Quella che il designer aveva definito come la sua scarpa più preziosa sarebbe uscita in concomitanza con il suo debutto in Louis Vuitton: stiamo parlando della LV Trainer 408, la prima scarpa da lui disegnata, con richiami alla cultura anni ’90, il basket e ovviamente al know how artigianale Vuitton. Oggetti, questi, diventati talmente di culto fra gli appassionati che proprio di recente Sotheby’s ha battuto all’asta un paio di LV Trainer Louis Vuitton (Red) autografate personalmente da Virgil alla cifra di 44 mila dollari. Proprio come succede alle opere d’arte degli artisti immortali.
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