La Fashion Revolution ha lo sguardo luminoso e solare di Marina Spadafora; una donna realizzata e di successo che ha scelto di mettere al servizio degli altri la sua esperienza, le sue conoscenze e il suo impegno come ambasciatrice di moda etica nel Mondo. Marina, dopo un’importante carriera come designer nazionale e internazionale, si fa portavoce di un nuovo concetto di moda: sostenibile, etica, inclusiva.
La moda con una missione: questo è il motto che la guida
Nata e cresciuta a Bolzano, ha debuttato a Los Angeles come costumista per il cinema; ha poi proseguito il percorso in Italia, nell’azienda di famiglia, come imprenditrice creando poi un suo marchio. E’ rinomata in tutto il mondo come stilista geniale e innovativa, grazie alle sue sofisticate e sperimentali collezioni. E’ professoressa di moda etica presso prestigiose accademie in Italia e all’estero, come il Naba di Milano, la Parsons di New York e Santo Domingo.
Il suo lavoro nel tempo è sempre stato caratterizzato da una forte attenzione al sociale e all’ecologia; uno dei suoi modelli di riferimento nei valori è Audrey Hepburn (ambasciatrice Unicef), di cui è stata nuora, sposando in prime nozze il figlio Sean. Forte della convinzione che etica ed estetica possano coincidere, attraverso diversificate esperienze, anche sociali, cresce come persona, come professionista e diventa sempre più consapevole della sua missione. Lavora direttamente con le Nazioni Unite per portare sviluppo alle economie emergenti, tanto da ricevere nel 2015 il premio delle Nazioni Unite “Women Together Award”.
Determinazione, professionalità, partecipazione e azione sono il suo biglietto da visita.
E’ di pochi giorni fa la notizia che felice di condividere la sua conoscenza e la sua esperienza con i giovani creativi, ha messo a disposizione degli studenti del Politecnico tutto il suo archivio di oltre 5000 Texture; un regalo immenso per la crescita di nuovi e responsabili designer.
In esclusiva a Life&People Marina Spadafora racconta un po’ più di sé e di Fashion Revolution.
La moda “come” e “con” una missione; fin da giovane ti sei occupata di temi come la giustizia sociale, hai approfondito la ricerca interiore e hai deciso di fare la differenza attraverso il tuo lavoro. Ci racconti questo percorso?
Sono nata in una famiglia che produceva maglieria e fin da piccola mi sono appassionata ai colori e ai materiali della moda. Ho avuto la fortuna di creare il mio marchio e di poter sperimentare attraverso la maglieria e riscuotere un immediato successo di stampa e di vasto pubblico. Dopo questa esperienza ho collaborato per molte case italiane di moda del lusso: Ferragamo, Prada, Miu Miu e attualmente Marni. Ho sempre però desiderato fortemente che il mio lavoro non fosse solo un esercizio estetico commerciale ma un qualcosa di più, che aiutasse a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori in Paesi in via di sviluppo. Il cielo mi ha ascoltata e sono arrivate opportunità in questo senso. La sensibilità per i temi sociali e la giustizia è sempre stata nel mio DNA. Quando da piccola mi chiedevano cosa volevo fare da grande, rispondevo che volevo aiutare i bambini neri. Non so da cosa scaturisse questa risposta ma è stato sempre chiaro per me che un giorno lo avrei fatto.
Alle scuole medie ho avuto il privilegio di avere una professoressa che mi ha fatto conoscere Gandhi e Martin Luther King e questo ha dato il via al mio cammino di consapevolezza. Anni dopo ho messo questi precetti in pratica quando ho iniziato il percorso nella moda sostenibile. La prima esperienza è stata “Banuq”, una collezione prodotta in Africa con materiali biologici. Poi “Cangiari,” la collezione di moda del consorzio Goel che porta lavoro e legalità nella Locride in Calabria. Altromercato con la collezione “Auteurs du Monde”, prodotta da artigiani appartenenti al WFTO (commercio equo e solidale). Esperienze entusiasmanti che hanno segnato l’inizio del mio lavoro che oggi continuo con Fashion Revolution e collaborazioni con le Nazioni unite.
Ultimamente hai pubblicato insieme a Luisa Ciuni il libro “La rivoluzione comincia dal tuo armadio”. Cosa dice di noi il nostro armadio?
I vestiti sono la pelle che scegliamo, sono il nostro biglietto da visita e la prima cosa che gli altri vedono di noi. E’ importante che questa “pelle” rispecchi chi siamo, non solo esteticamente, ma soprattutto moralmente. Per questo la “call” di Fashion Revolution è #whomademyclothes; incitiamo tutti a chiedersi chi ha realizzato i nostri vestiti e se le persone, artefici della bellezza che indossiamo, siano state pagate equamente e abbiano lavorato in condizioni di sicurezza.
Meno è più?
Dobbiamo capire che l’elefante nella stanza è l’eccesso di produzione tessile nel mondo. La Fast fashion ha riempito il mondo di stracci a poco prezzo che vengono indossati poco e buttati via molto.
Sei consulente di Moda Etica e coordinatrice Nazionale di “Fashion Revolution”: come si fa, concretamente, a rivoluzionare la moda?
La rivoluzione parte dalla consapevolezza. Con Fashion Revolution ci impegniamo a creare consapevolezza nei consumatori sul fatto che ogni acquisto, oltre ad essere un atto economico è un atto morale. Ci chiediamo se vogliamo essere complici di multinazionali che deturpano l’ambiente e sfruttano le persone. Il nostro “indice di trasparenza” vuole essere uno strumento per fare scelte consapevoli e dare i nostri soldi ad aziende che si comportano eticamente.
Hai avviato un progetto con tuo marito, il regista/produttore Jordan Stone che si chiama “Fashion With A Mission”. Una serie di film che raccontano la nuova alleanza tra giovani designer e artigiani locali in molti paesi del mondo come Perù, Vietnam, Nepal e altri. Attraverso la piattaforma FWAM designer e artigiani possono avere accesso a buyer e brand internazionali.
Spesso però si pensa che la moda etica non sia alla portata di tutti i guardaroba, che non sia abbastanza democratica e accessibile. Come si può sfatare questo pregiudizio?
Quando lavoravo alla collezione di Altromercato, le magliette in cotone bio costavano in negozio 25 Euro. Io dico, sempre meglio investire in una maglietta fatta bene che comperarne cinque che grondano sangue e Co2. La moda che viene prodotta oggi da molti giovani designer in vari paesi del mondo, viene fatta in collaborazione con artigiani locali. Sono capi unici e irripetibili che tramandano tradizione e innovano allo stesso tempo. Queste sono le realtà che “Fashion With a Mission” vuole ritrarre e aiutare.
Molte aziende di moda, sull’onda di scelte di marketing premianti, parlano di sostenibilità, a volte è vero, altre è green washing. Che cosa è la Revolution Map e perché crearla?
Abbiamo creato la FR Shopping Map per dare uno strumento pratico ai consumatori italiani per trovare abbigliamento creato eticamente.
Come possiamo aiutare, in modo semplice, le persone a essere consapevoli di che cosa stanno acquistando?
Possiamo usare i nostri social media per creare più consapevolezza tra i nostri contatti e parlare con i nostri familiari e amici.
Sei una delle vincitrici del “Premio Domina” istituito da Sky per premiare le donne che hanno lavorato in nome dell’empowerment femminile che è il 5° punto su 17 per lo sviluppo sostenibile nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Quanto è importante sostenere le donne?
Le donne sono le colonne della società, senza di loro non c’è vita, amore e bellezza. Nei Paesi dove ho lavorato le donne erano e sono protagoniste. Artigiane abili, madri amorose e mogli attente. Un multitasking fatto con grazia, determinazione e indomabile ottimismo. Le donne vengono ancora pagate meno degli uomini per svolgere gli stessi lavori, anche in Italia, una lotta che non è finita.
Il modo in cui hai scelto di vivere i tuoi ideali porta a trovare attinenze con Audrey Hepburn, di cui sei stata nuora. Il suo impegno per l’Unicef così come il tuo per la Fashion Revolution sono la dimostrazione che per essere ascoltati veramente non c’è bisogno di urlare, ma solo di essere attivi, credendo profondamente nel cambiamento.
L’ottimismo è ribelle, è una scelta coraggiosa?
Un ottimismo cocciuto e indomabile, visionario e pratico, ci porterà fuori da questo tunnel. Audrey era un esempio di questo; avendo sofferto la fame, durante la guerra, ha saputo ridare fiducia a chi soffriva, quando è diventata famosa. Con la notorietà arriva molta responsabilità. Chi è famoso ha il dovere di utilizzare la propria influenza per migliorare il mondo.
Grazie Marina Spadafora e al tuo impegno nella Fashion Revolution.
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