“Le città popolate di Pierpaolo Rovero“ fa riferimento a una serie di opere che attraversano il mondo, sul piano visivo, e svelano relazioni umane, su quello emozionale.
Torinese, ex-disegnatore Disney, character designer, illustratore, docente di “Arte del fumetto” all’Accademia Albertina e artista innovativo, Pier è, per me, soprattutto un amico.
Condividiamo diversi progetti di comunicazione sociale intrisi di tech-art e le sue matite virtuali hanno animato e colorato i media prodotti.
Ben ritrovato Pier, in questo incipit, oltre alle tua attività di artista, illustratore, fumettista e insegnante,
c’è qualcosa che ti piacerebbe menzionare?
C’è un racconto illustrato, nato in modo spontaneo durante il lockdown, con l’amico Luca Feliciani: “La Casastronave”.
L’intento era spiegare ai bambini lo strano periodo che stavamo vivendo. Abbiamo deciso di pubblicare online il racconto, che, in pochi giorni, ha iniziato a circolare in modo spontaneo per la rete.
Molte persone straniere che vivono in Italia si sono offerte di tradurlo nella loro lingua e, nel giro di 2 settimane, la storia è stata riproposta in una decina di lingue (compreso un adattamento per bimbi autistici).
A oggi, l’elaborato è stato acquistato dal “Battello a Vapore“, e stiamo preparando una versione “estesa”, che verrà pubblicata a novembre.
In questo periodo, leggo spesso di te per il progetto “Imagine all the people”, focus principale dell’intervista, ma, come in un flash back, vorrei fare qualche passo indietro.
A casa, conservo un tuo Paperino, con dedica a mio figlio; quanto è stato importante il passaggio nel mondo Disney e cosa ti ha lasciato?
Il periodo in cui ho lavorato come fumettista per la Disney lo considero il mio apprendistato. Ho avuto la fortuna di incontrare dei disegnatori formidabili, che considererò sempre dei maestri.
Le idee artistiche di Disney mi hanno a lungo affascinato, fino al punto di assumere un carattere quasi dogmatico. Nel momento in cui ho capito che queste idee stavano diventando dei modelli assoluti, ho deciso di andarmene.
Stavo rischiando di fermarmi, di applicare alla lettera un insieme fisso di norme.
Però l’estetica Disney si è sedimentata in me fin dall’infanzia e resta quindi un imprescindibile punto di riferimento. Oggi la rivedo soprattutto nella scelta di colori vivaci e in un’atmosfera idilliaca che cerco di trasmettere.
In passato, hai lavorato per un mondo editoriale (quello francese) che sul fumetto di qualità investe in termini culturali e promozionali.
Quali sono stati gli aspetti più significativi di quell’esperienza?
La Francia mi ha consentito di aprire gli orizzonti, di spostare il confine di come immaginavo il fumetto.
In Francia, i lettori di fumetti sono prevalentemente persone adulte, istruite e selettive: seguono il singolo autore, lo leggono con passione e cercano di capirne le scelte stilistiche.
Ricordo con piacere le dediche in libreria e la possibilità di confrontarmi direttamente con il pubblico.
In alcuni casi, in quelle occasioni, nascevano delle vere amicizie.
Un dentista di Strasburgo, ad esempio, mi si era offerto come traduttore: ogni scritto che avevo bisogno di correggere passava da una sua revisione.
L’aspetto più significativo è stato comunque lavorare a stretto contatto con gli sceneggiatori.
Il romanziere Michel Rio mi ha ospitato diverse volte a Parigi per mettere a punto gli storyboard.
Lavoravamo dalla mattina al tardo pomeriggio, dopodiché guardavamo film e parlavamo di letteratura. La sua visione artistica era molto più profonda della mia, ma, nonostante questo, era sempre aperto al confronto. Cosa potevo sperare di meglio?
Nel 2019, hai pubblicato un libro per Dino Audino editore: “Character design & Co”, uno straordinario manuale sulla costruzione di personaggi per il fumetto e l’animazione.
Quel tuo scritto risponde a qualche esigenza di ricerca introspettiva?
Sì, penso di avere scritto questo saggio per parlare del perché ho deciso di disegnare come professione.
Per alcuni il disegno può essere solo un semplice passatempo, ma per me è sempre stato qualcosa di molto più profondo, un’attività indispensabile, addirittura vitale.
Ho capito che il disegno mi è servito per ricordare, per tracciare i contorni della mia realtà. Ma, in altre occasioni, l’ho usato per schierarmi, per liberarmi di un peso, per resistere.
E ancora, mi è capitato di disegnare per cambiare o per dar vita a un nuovo immaginario.
Il disegno mi permette poi di cogliere ciò che non sempre è visibile agli occhi. In ogni caso, mi ha consentito sempre di dar forma alle mie idee. Talvolta può essere faticoso, soprattutto quando diventa una professione.
Ma come ricompensa, ogni volta, c’è una nuova realtà in cui vivere e far vivere gli altri. Nel libro, in fondo, parlo di quest’intima passione.
Ho letto un divertente aneddoto che ti riguarda: per Ferrero disegnavi personaggi dedicati ai bambini e, durante un viaggio in Messico, hai ritrovato le tue “creature”.
Cos’hai provato nello scoprirle in viaggio per il mondo?
Ho provato una sensazione di vicinanza, dovuta ovviamente al fatto che viviamo in un mondo in gran parte globalizzato.
Oggi il mondo dei social mi trasmette la stessa sensazione. La gente che mi segue è in minima parte italiana.
Questo mi consente di avere continui scambi e suggestioni con culture anche molto distanti. È un’esperienza molto stimolante.
Le città popolate di Pierpaolo Rovero, ovvero “Imagine all the people”.
Recentemente, hai rappresentato 24 splendidi scorci di altrettante città del pianeta.
In tutte, hai fermato il tempo in un’ora diversa … un giro immaginario di lancette d’orologio.
Ci vuoi parlare di questo progetto, partendo dal riferimento a J. Lennon, svelando i dettagli delle tue opere e la tecnica utilizzata?
Lo spunto di partenza per questa serie è, come dici tu, il video originale della canzone “Imagine”. In quel video ci sono John Lennon e Yoko Ono: John suona il pianoforte e canta, mentre Yoko apre tutte le finestre di una grande casa.
È da questa visione che mi è venuta l’idea di rappresentare le varie città del mondo con le finestre aperte. All’interno delle singole case ho visto gente cantare, ballare, leggere, dipingere, abbracciarsi, baciarsi, prendersi cura, proteggersi.
Ho visto tutte le persone connesse con la loro parte più intima e umana.
Il bello di questo progetto è che si è trasformato in un viaggio condiviso. Molte persone mi contattano fornendomi spunti, fotografie e stimoli culturali per illustrare le loro città.
Al momento, ad esempio, sto rappresentando Mumbai, pur non essendo mai stato in India. Un’architetta indiana (che ho conosciuto online) commenta ogni mio bozzetto, fornendomi tutte le indicazioni per entrare nell’atmosfera.
Lo stesso è successo per Barcellona, per Gerusalemme e anche per lo Yemen. La disponibilità e la partecipazione della gente mi sta portando a espandere il progetto verso direzioni che non avevo mai immaginato.
Ormai ho la sensazione di stare veramente viaggiando, senza una meta, ma con a fianco tante persone. Ed è bellissimo.
Le città popolate di Pierpaolo Rovero mi ricorda un po’ “Le città invisibili” di Italo Calvino … ritrovo il filone narrativo legato al viaggio e alla scoperta, mentre la meticolosità del tuo segno e i vincoli ricorsivi richiamano le metafore e l’iter di “calcolo combinatorio” del grande scrittore.
È una mia impressione o ti ritrovi in questa suggestione?
Certo. Calvino mi pare dicesse che viaggiando s’impara a non riconoscere le differenze e, alla fine, tutte le città arrivano ad assomigliarsi.
Questo è proprio il senso profondo che voglio dare al mio progetto.
Mi piace pensare che ogni città possa essere scomposta, smontata e rimontata come se si trattasse di un puzzle. Il mio stile consiste nel mettere insieme tanti tasselli.
Non è solo un lavoro di assemblaggio. È un lavoro di contaminazione tra tanti immaginari visivi.
L’idea di un “calcolo combinatorio” la trovo molto pertinente.
Passando dalla letteratura alla pittura, non sono il primo a notare le tue affinità con Edward Hopper. Che tipo di contiguità senti con lui?
Ci sono due motivi che mi rendono Hopper un riferimento fondamentale. Intanto era un pittore realista.
Negli anni ’50 del secolo scorso tanti pittori d’avanguardia abbandonarono la figurazione per dedicarsi all’espressionismo astratto o alla pittura gestuale.
Hopper mantenne un forte legame con la visione reale del mondo, che espresse benissimo, ad esempio, attraverso la luce. Il modo in cui illumina le figure è meraviglioso.
Il secondo motivo per cui amo Hopper risiede nel fatto che nelle sue opere ha davvero creato personaggi, nel senso che ha scavato nell’anima alla ricerca dell’interiorità della figura.
Penso però di essere anche molto distante dalla sensibilità di Hopper.
Nei miei quadri sono interessato più ad un aspetto corale che intimista. Vorrei semplicemente raccontare che siamo un sistema, non singoli soggetti isolati.
La sfida di Hopper è decisamente impegnativa, perché vuole mostrare alcuni aspetti della nostra vita interiore.
“Le città popolate di Pierpaolo Rovero” – una summa di tanti momenti del tuo percorso. Ci sono l’attenzione al dettaglio e alla colorazione dell’illustratore, un segno da realtà parallela tipico del fumetto e la costruzione di personaggi e attitudini del character designer.
Entrano altre sfumature in questo mosaico?
Per tornare a Calvino, penso che ci sia anche un’idea di leggerezza, che arriva da uno sguardo che si posa dall’alto su una realtà che non vuole mai essere soffocante.
Mi piacciono le forme semplici e fluide. Mi piace la stilizzazione che arriva dalla grafica, dove le linee sono rette o curve e i colori sono completamente piatti. Non amo le sfumature, le linee incerte, i tratti contorti.
Se dovessi descrivere il mio modo di disegnare, direi che è una contaminazione tra la grafica e la pittura.
Gran parte della tua produzione usa strumenti del digital design. Tu sai che, per lavoro, mi occupo spesso di “creative coding” e arte generativa;
quant’è importante, per la tua azione creativa, esplorare le strutture dell’arte digitale?
La tecnologia ha cambiato radicalmente la nostra quotidianità e, di conseguenza, anche il nostro sguardo. C’è una mutazione in atto e, se vogliamo capirla, dobbiamo necessariamente confrontarci con i nuovi strumenti che abbiamo a disposizione.
Per fare un esempio concreto, il disegno digitale consente di elaborare dettagli piccolissimi. E così, ho deciso di introdurre alcuni particolari che sono praticamente invisibili a occhio nudo.
L’effetto più divertente di questa scelta l’ho sperimentato durante un’esposizione. Le persone fotografavano con lo smartphone un’area dell’immagine e poi la guardavano con lo zoom.
In fin dei conti, pur avendo sotto gli occhi l’opera dal vivo, preferivano fruirla tramite lo smartphone. Ecco, questo mi è sembrato un passaggio significativo di questa nuova percezione della realtà.
Ma le potenzialità che ci vengono offerte, come testimonia la tua ricerca, possono essere molto più estese. Mi piacerebbe ad esempio lavorare sul volto umano, perché è la superficie più densa di significati. I
l volto è una combinazione di stati in movimento. La nostra faccia non è mai la stessa, cambia continuamente, anche se, alle volte, in modo impercettibile.
Ragionare su strutture dinamiche significa ragionare meglio sulla vita, che è sempre movimento. Trovo che ci siano orizzonti molto affascinanti da esplorare e sarebbe bello avventurarsi in questo viaggio con un bel gruppo di compagni.
Io mi considero un viaggiatore, ma è pur vero che non amo viaggiare in solitaria.
Siamo giunti alla conclusione, Pier. Sono convinto che, in ogni intervista, resti un “non detto”, quasi teatrale, sospeso tra le righe del dialogo …
Cosa aggiungeresti al nostro pezzo – le città popolate di Pierpaolo Rovero?
Grazie per le tue domande, mi hanno fatto capire che esistono sempre nuove strade da percorrere, soprattutto se impariamo a costruirci il nostro cammino piano piano, viaggiando.
Prepariamo le valigie Paolo, guidami pure per le tue città. Avremo così modo di continuare a raccontarci.