Un lungo addio a Luis Sepúlveda, stroncato dal Coronavirus all’eta di 70 anni, in un ospedale di Oviedo.
Scrittore, poeta, ecologista, originario di Valparaiso (Cile), città definita dallo stesso Neruda: “sinuosa, segreta, sgomitante, eterna primavera”, è voce indimenticabile di un’America latina da lui stesso amata e discussa.
La vocazione letteraria si manifesta fin da giovane: scrive racconti e poesie per il giornale d’istituto. A diciassette anni inizia a lavorare come redattore del quotidiano Clarín, e nel 1969 vince il “Premio Casa de Las Americas”, pubblicando il libro di racconti, Crónicas de Pedro Nadie.
Uno dei racconti finisce nelle mani del preside del suo liceo, in Patagonia Cilena a Santiago del Cile: “Questa è pornografia” – sentenzia il preside –. Sepulveda replica: “Letteratura erotica“.
Dopo il colpo di stato di Pinochet, in piena dittatura, viene arrestato. Passa sette mesi in una cella talmente piccola da essere costretto a restare quasi tutto il tempo sdraiato. Esperienza che lo segna profondamente, ma non trafigge l’anima da guerriero, viaggiatore, e libero pensatore.
I primi romanzi sono il riflesso di una personalità libertaria. È il caso de Il vecchio che leggeva romanzi d’amore: il protagonista, Antonio José Bolívar Proaño, dopo avere vissuto a stretto contatto con gli shuar, indigeni della foresta, accetta di partecipare alla spedizione di un cercatore d’oro.
Uccide un tigrillo che rappresenta una minaccia per gli abitanti del suo paese. Nella vecchiaia si ritira a El Idilio, in solitudine, dove legge romanzi d’amore, costruendosi un mondo di fantasia, lontano dalla crudeltà del mondo reale.
Un sentimento, quello per la natura, che identifica una personalità sovversiva. Anche in Patagonia express, i personaggi sono in simbiosi con la selvaticità del territorio.
Il viaggio comincia a bordo del traghetto Colono, diretto verso la punta meridionale della Patagonia cilena.
Lo scrittore appunta ciò che vede su un taccuino. E i personaggi mutano in uno scenario quasi irreale: un vecchio malato viaggia con la bara che ospiterà il suo corpo, un uomo è costretto a trasportare un cadavere per chilometri su mezzi di fortuna.
Un immersione nella vita inesplorata delle foreste, un modo per sopravvivere alle difficoltà della vita, una sfida, una riflessione filosofica: caratteristiche che appartengono fortemente alla scrittura di Luis Sepúlveda.
L’attenzione ecologista si esprime nel famoso romanzo Storia della gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Kengah, una giovane gabbianella si tuffa in mare per cacciare le aringhe. La distesa di petrolio in cui si immerge le impedisce di volare, ma riesce a raggiungere il balcone di una casa di Amburgo.
Addio a Luis Sepúlveda, che prima di morire lascia un uovo che affida a un gatto nero, di nome Zorba.
Il finale, filosofico, è l’enorme quesito della vita: saper volare nonostante i venti contrari, le correnti del destino, gli amori infranti. In quest’ultima frase si può riassumere la vita intera di Luis Sepúlveda.