Che bellissima storia, quella di Giorgio Armani: a ben guardarla, è anche nostra. La vicenda che ha portato un giovane uomo piacentino a diventare il capo carismatico del Made in Italy si intreccia, sin dall’inizio, con la storia contemporanea del nostro Paese. In quegli anni spontanei e agitati che furono i Settanta convivevano due Milano parallele e inconciliabili. Quella delle manifestazioni, delle proteste, della violenza, e quella della moda che scriveva un nuovo capitolo della sua storia. Una squadra di giovani designer intenzionati a inventare un prêt-à-porter tutto italiano che spodestasse il primato della moda francese.

Gina Di Bernardo fotografata da Aldo Fallai per la campagna Giorgio Armani autunno-inverno 1989/90
Ci riuscirono, con risultati clamorosi, anche perché seppero intuire che nella società di quel tempo si andavano affermando nuovi stereotipi femminili di forza, carriera, successo e arroganza. Serviva un abito nuovo, autorevole e donante, per le donne che si muovevano con un atteggiamento inedito ed energico nel mondo.
Giorgio Armani decise di continuare la lezione di Chanel e l’esempio di Saint Laurent
intervenendo su un capo fondamentale del guardaroba maschile come la giacca. Fece in modo che diventasse un indumento imprescindibile anche di quello femminile, svuotando ciò che era imbottito e ammorbidendo ciò che era rigido. Ma limitare l’apporto di Armani alla sola reinvenzione della giacca sarebbe riduttivo e disonesto: a lui dobbiamo l’invenzione di un concetto di femminilità scarna e lieve, dentro cui le donne si sono sentite immediatamente protette. Di conseguenza si traduceva una moda spogliata di ogni leziosità, priva di enfasi e ridondanza.

Gina Di Bernardo fotografata da Aldo Fallai per la campagna pubblicitaria collezione Giorgio Armani autunno-inverno 1987/88
Improvvisamente tutte volevano somigliare a quelle signore di siderea eleganza, imitarne la femminilità inconsueta, vestirsi di quella semplicità disadorna, e anche quando trionfarono gli anni Ottanta questo modello resistette orgogliosamente, persino in quei tempi di smemoratezza, di individualismo, di grande festa ininterrotta, quando vestire divenne una costosa e invincibile passione di massa e gli stilisti soppiantarono i calciatori e le rockstar nell’immaginario collettivo.
Alle sue sfilate si respirava un’atmosfera sacrale, solenne.
L’uscita delle sue creazioni si consumava nel corso di un rito sommesso eppure spettacolare, incantevole e ieratico. Esserci significava autocelebrarsi. Era una misura del proprio potere mondano, ma anche la garanzia di assistere a una tipica espressione del proprio tempo. Capire quale forma estetica stesse assumendo e attraverso quali segni lo si sarebbe ricordato e riconosciuto nel futuro. Giorgio Armani ha compiuto un’operazione autenticamente filosofica, applicando la sua visione e il suo pensiero a un oggetto commerciale come l’abito.
Questa capacità di prevedere le esigenze di un’intera generazione è stata premiata con fatturati strabilianti e una celebrità internazionale
Elementi sui quali tuttora poggia saldamente il suo impero. Ma anche la sua coerenza, la sua capacità di custodire il proprio stile al riparo dalle tendenze effimere e dalle tentazioni passeggere, e di mantenere la proprietà del suo marchio in un’epoca di acquisizioni talvolta selvagge, ne fanno un personaggio straordinario. Per di più in un settore, come quello della moda, in cui l’inconsistenza e la trasformazione sono valori supremi, Armani ha dimostrato la forza e la fermezza di un monaco zen. Anche per questo motivo, nessuno più di lui merita la definizione di ultimo maestro.

Antonia Dell’Atte campagna pubblicitaria autunno-inverno 1984-1985 Giorgio Armani
A Giorgio Armani, ai passaggi più importanti della sua carriera e della sua vita privata, è dedicata la biografia pubblicata da Cairo Editore e firmata da Tony di Corcia. Un libro costruito come un documentario televisivo, che innesta sulla narrazione i ricordi e le opinioni di personaggi come le attrici Isabella Rossellini, Isabella Ferrari e Sonia Bergamasco, giornaliste come Natalia Aspesi e Giusi Ferrè. Lo storico del costume Quirino Conti, le top model Valeria Mazza, Nadège Dubospertus, Antonia Dell’Atte, e molti altri. La prefazione è firmata dallo stilista e imprenditore Nino Cerruti, che negli anni Sessanta ha affidato la sua linea Hitman all’esordiente Giorgio Armani.