Per la storia dell’arte, la recente attribuzione a Sandro Botticelli della Pala d’altare custodita nel Museo d’arte sacra di San Leo (comune in provincia di Rimini), rappresenta una svolta straordinaria. Fino ad oggi, il dipinto era citato solo nella letteratura del luogo, dunque sconosciuto ai più. Annalisa Di Maria, esperta d’arte, insieme al collega Andrea da Montefeltro, ha condotto un’analisi meticolosa e pionieristica, confermando che si tratta di un capolavoro del maestro fiorentino.

Annalisa Di Maria e Sandro Botticelli - Life&People MagazineLa studiosa ha evidenziato come alcuni elementi iconografici, e la comparazione dei volti con altre opere dell’artista, abbiano portato a una compatibilità sorprendente, nonostante i rifacimenti che il dipinto ha subito nel corso degli anni. La Pala sarà ancora oggetto di studio da parte dei laboratori e degli esperti; l’intero lavoro sarà presentato in futuro nel corso di una conferenza ufficiale, insieme alla pubblicazione, che sarà realizzata con gli studi che proseguono da più di 5 anni. Di  questa importante riscoperta ce ne parla – in questa intervista esclusiva –  Annalisa.

Annalisa, il suo lavoro ha riacceso l’interesse per Botticelli. Quando ha visto la Pala per la prima volta e come ha capito che si trattava di un’opera del maestro fiorentino?

«È successo nel 2020. Osservandola, mi sono subito resa conto di trovarmi di fronte a un capolavoro perduto di Sandro Botticelli e della sua bottega».

Cosa ha provato in quel momento e quali elementi iconografici l’hanno convinta?

«Ho pianto per l’emozione. Sono stati soprattutto il volto della Madonna e quello del Bambino ad attirare la mia attenzione: il viso della Vergine era quello di Simonetta Vespucci, musa storica di Botticelli; e ai lati due ragazzi che ritroviamo in altre sue opere. Mi chiesi come mai fossero rimasti nascosti così a lungo.

Sandro Botticelli - Life&People Magazine

Malgrado il suo degrado, avevo di fronte un dipinto di questo grande artista, che rappresentava un periodo storico ben preciso, e piangevo perché sapevo che, da lì in poi, non avrei avuto pace. La verità è fatta anche di sacrifici e io ero disposta a tutto pur di vedere splendere ancora una volta quei visi che tanto avevano accompagnato la vita di questo pittore rinascimentale: i suoi amici, Pico della Mirandola, Angelo Poliziano e, appunto, la bella Simonetta. Ho avvertito immediatamente un legame profondo con l’opera, come se l’anima dell’artista si fosse manifestata attraverso di essa, rivelandone non solo la genialità, ma anche le sue ferite esistenziali».

Documento Pala di San Leo - Life&People Magazine

Cosa ci dice del documento che viene associato al dipinto?

«Esiste un documento risalente alla fine del XV secolo, redatto da Angelo Vecchietti, un notaio fiorentino, in cui si menziona la commissione di un’opera al Maestro Luca di Frosino per la Comunità di San Leo, senza specificare di quale opera si tratti. Crediamo possa riferirsi a un dipinto raffigurante i santi Marino e Leone, come quello che vediamo oggi. Luca di Frosino aveva uno stile completamente differente, infatti, vi sono indizi che lo collegano al Maestro di Marradi, entrambi inseriti nella bottega del Ghirlandaio.

Incisione - Life&People Magazine

È probabile che l’opera originale sia andata perduta durante il lungo periodo di abbandono della Cattedrale, e il dipinto attualmente visibile sia stato portato qui come sostituzione, nel 1700. La testimone più antica della presenza della Pala è infatti proprio un’incisione del XVIII secolo, che documenta il suo stato di conservazione già allora precario».

Annunciazioni - Life&People Magazine

Quali cambiamenti iconografici ha subito la Pala nei secoli e quanti restauri?

«Nei secoli, ha subito vari restauri e riadattamenti. Solo dopo gli anni ‘50 è citata nei documenti come opera di Luca di Frosino, ma, nonostante i danni subiti, conserva lo stile inconfondibile di Botticelli e della sua scuola. Ciò emerge da alcuni dettagli messi a confronto con opere dell’artista fiorentino, e da alcune analisi di laboratorio che confermano la sua tecnica. La datazione della Pala sarebbe posteriore al 1492, periodo in cui Botticelli tornò a uno stile iconografico cristiano, dopo aver abbandonato l’iconografia neoplatonica.

Sandro Botticelli - Life&People Magazine

Dopo la sua morte, avvenuta nel 1510, lui e le sue opere caddero nel dimenticatoio, per essere riscoperte solo nell’Ottocento dai preraffaelliti. Nei secoli successivi, i suoi dipinti finirono per essere ammassati nei depositi fiorentini della Chiesa e dei signori del tempo, e spostate in altri luoghi solo per sostituire opere mancanti. La Pala, così come la vediamo, è il frutto di molteplici manipolazioni tecniche e pittoriche compiute nel tempo da più mani, che hanno reso difficile la lettura originale del dipinto. Fortunatamente, esso ha conservato la sua naturale bellezza nel volto della Madonna, con l’effigie di Simonetta Vespucci e, oggi, sembra riemergere e rinascere dall’oscurità e dall’anonimato a cui era relegata».

Che importanza ha il dipinto per la Romagna, San Marino e il mondo dell’arte?

«Oggi, la Pala, che da riscontri archivistici nasce come bene della Chiesa, appartiene allo Stato e rappresenta un simbolo tangibile dell’identità territoriale e la testimonianza più antica che vede insieme i due Santi Marino e Leone. È un’opera che narra quasi un viaggio nel tempo, da Firenze fino al Montefeltro, che passando di luogo in luogo ha lasciato un tassello in ogni stazione, senza però mai perdere lo spirito del grande artista, gioiello dell’Italia rinascimentale».

Cosa l’ha spinta a dedicarsi allo studio dell’arte, e in particolare al Rinascimento e al Neoplatonismo?

«Sin da piccola, coltivo la mia passione per l’arte, soprattutto il disegno. Ho iniziato come artista, prima di diventare una studiosa. Il mio interesse per la Grecia antica e il Neoplatonismo, con la sua idea di bellezza e conoscenza universale, ha influenzato profondamente il mio percorso. Il Rinascimento, in particolare quello mediceo, rispecchia questi ideali.

Annalisa Di Maria - Life&People MagazineNel 1462, Marsilio Ficino, su volere di Cosimo il Vecchio de Medici, fondò a Firenze un’accademia a immagine di quella di Platone, in cui confluirono tutti questi grandi artisti sotto la protezione di Lorenzo il Magnifico. Il Neoplatonismo riprese vita nella Firenze medicea in maniera forte e tangibile, e la particolarità di dipingere di questi grandi artisti, tra cui Sandro Botticelli, che ne fu uno di più eccelsi rappresentanti, consisteva anche nell’utilizzare dei simboli che rendevano inconfondibili le loro raffigurazioni».

In che modo questa passione influenza la sua vita quotidiana?

«Questa mia passione mi ha resa quella che sono, grazie anche al mio defunto papà che mi portò per mano in questo mondo, già in tenerissima età; a lui ho dedicato il mio primo libro. Ho improntato tutta la mia vita sull’arte, grazie alla quale ho scritto e ho sognato tanto. Essa è spiritualità e il Rinascimento è il periodo storico che ha reso grande la nostra storia dell’arte nel mondo. Il Neoplatonismo è stato spesso bollato come movimento eretico e con lui alcuni dei suoi grandi rappresentanti, come Botticelli, che non è stato compreso, eppure il loro sogno era proprio quello di conciliare la spiritualità all’arte come emblemi di una conoscenza totale, volti a rendere immortale la bellezza».

Quando ha realizzato che Botticelli, Leonardo e Raffaello sarebbero diventati punti di riferimento nella sua carriera?

«Fin da piccola, ho sentito una connessione profonda con loro. Questi artisti sono venuti da me in maniera naturale: Leonardo, che è stato il mio primo amore, lo ha fatto attraverso il Cristo di Lecco; Botticelli, con la figura di Simonetta, con la quale ha rappresentato un ideale di bellezza che mi ha ispirato; Raffaello con la Maddalena. Le loro opere hanno influenzato la mia vita e la mia visione dell’arte».

Annalisa Di Maria intervista esclusiva Life&People Magazine

Com’è cambiata l’arte rispetto al passato?

«Ogni cosa segue lo scorrere del tempo, anche l’arte cambia prospettive e stili e oggi viene raffigurata ed espressa in modo differente. Anche in questi tempi, ciò che mi emoziona è sempre il figurativo classico, sebbene ci siano molte forme di arte contemporanea che mi affascinano. L’arte è sempre soggettiva, ma deve trasmettere un messaggio che vada oltre la semplice raffigurazione».

Come pensa che essa possa influenzare la società?

«Su questo concetto mi piace citare sempre una frase di Peppino Impastato che racchiude anche il mio pensiero: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà, perché in uomini e donne rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”».

Condividi sui social