“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. La legge della conservazione della massa postulata da Lavoisier sembra calzare a pennello il lavoro del grande stilista Martin Margiela. Nato nel 1957 a Genk, in Belgio, è il volto della decostruzione sartoriale, della decontesualizzaione del materiale, della risemantizzazione di oggetti e capi. Margiela non ha inventato nulla, ha preso ciò che già esisteva e l’ha trasformato, l’ha guardato con nuovi occhi, lo ha distrutto, plasmato, spogliandolo di vecchi significati per donargli nuova vita. Uno stilista acuto, un genio, capace di vedere oltre e immaginare nuovi mondi possibili. Fondatore della omonima Maison, discepolo di Gaultier, è l’inventore delle etichette bianche a quattro punti e delle scarpe più riconoscibili del mondo: gli stivali Tabi Margiela.
La nascita degli stivali Tabi di Margiela
Nel 1997, dopo il fasto degli anni ’80 e l’assenza dal fashion system dei primi anni ’90, Martin Margiela era irrequieto, tormentato da un solo pensiero: dare alla luce una scarpa perfetta e riconoscibile. Il desiderio dello stilista era trovare un elemento distintivo che entrasse nell’immaginario comune. Una sorta di archetipo universale che risvegliasse nell’inconscio collettivo degli amanti della moda l’idea di “Margiela”.
La ricerca, la descostruzione, lo studio dei dettagli sono i processi che hanno sempre accompagnato l’ideazione delle migliori collezioni dello stilista belga. Anche nel caso degli stivali Tabi, Margiela ha svolto un lavoro quasi archeologico, di ricerca, scavo, recupero e poi ricostruzione. Martin Margiela osserva, distrugge e poi restituisce. Partendo dalle tabi giapponesi, le calze pensate per essere indossate con infradito e kimono, con il classico taglio che separa l’alluce dalle altre dita dei piedi, il designer decise di costruire il suo personale simbolo: aggiungendo una suola, la tomaia in pelle e perfezionando il prototipo con una elegante chiusura a corsetto sul lato interno e un tacco di legno cilindrico, ha dato alla luce lo stivale più chiacchierato di sempre.
L’esordio degli stivali Martin Margiela
Gli stivali Tabi di Margiela, con il loro design split-toe, partoriscono dalla mente dallo stilista e approdano nel mondo della moda nel 1989 al Café de la Gare di Parigi. Calpestano una tela di tessuto bianco lasciando orme di pittura rossa, indossati da modelle a volto scoperto. Sì, perché il focus della performance dovevano essere loro: i primi Tabi boots verniciati di bianco. Le impronte impresse su quella stoffa della passerella restituivano un’aura trascendentale: si trattava del segno lasciato da Martin Margiela nella sua carriera stilistica.
“Ho pensato che il pubblico dovesse notare nuove calzature. E cosa sarebbe stato più evidente della sua impronta?”
35 anni di Tabi
A 35 anni dalla loro creazione, gli stivali hanno subito evoluzioni e rivisitazioni, anche sotto la guida di John Galliano. Di fatto, hanno assecondato la moda e il bisogno di continua evoluzione e ribellione del brand diventando ballerine, sneakers, derby stringate, pump in stile Mary Jane, amati, incompresi, lodati.
La Tabi rimane comunque una scarpa sconvolgente, che spezza la comfort zone e le aspettative di un pubblico saturo di stimoli sempre uguali e ridondanti. Irriverenti e forti, hanno sconvolto il pubblico occidentale, che non aveva mai neanche concepito una calzatura dalla punta spaccata. Il design iconico delle scarpe di casa Margiela non rassicura, ogni volta disturba e stuzzica la fantasia. Un ibrido antico, da un lato umano e dall’altro animale, come la tradizione giapponese ma anche moderno, come la Maison che lo ha plasmato. Lo stivale Tabi di Margiela dal fascino pre-naturale è per chi non teme di abbracciare il lato più anticonvenzionale della moda, quello che cerca il dettaglio, ama lo studio della figura e fa della decostruzione la proprio bandiera di stile.