Solamente una coscia sana, fresca e ben tornita può aspirare a essere carezzata, massaggiata e cosparsa di sale come solo i mastri prosciuttai sanno fare. Con movimenti lunghi e lenti, una manualità esperta e una conoscenza sapiente, ereditata dalla tradizione e tramandata di generazione in generazione. E’ un’arte antica quella dei salatori di prosciutto, che affonda le radici nei tempi, quando l’uccisione del maiale rappresentava un momento di straordinaria importanza nella comunità rurale dei secoli addietro. Assicurava carni di ottima qualità e salumi nostrani per tutto l’anno, rinnovando riti e suggestioni di un mondo genuino pressoché dimenticato.
Uno sguardo addietro, al bel mondo antico
Il giorno dell’uccisione del purcell, le donne di buonora accendevano il fuoco e mettevano su i paioli di rame pieni d’acqua, mentre gli uomini preparavano il traliccio di pali al quale avrebbero appeso il corpo del maiale perché potesse essere squartato più agevolmente. I bambini erano esentati dall’andare a scuola quel giorno, e una tavola imbandita accoglieva familiari e amici stretti pronti a festeggiare l’evento atteso tutto l’anno. L’animale sacrificato cresceva in cascina per almeno due anni, oppure allo stato semibrado nei boschi recintati, grufolando per terra in cerca di ghiande selvatiche e radici spontanee, scovando vermi e lumache, quando non alimentato a chicchi di mais. Un ingrassamento naturale del suino unito a una simile maturità delle carni garantiva una friabilità dei tessuti introvabile nei maiali di allevamento che oggi danno origine ai salumi di produzione industriale.
Il miglior alleato dei prosciutti più prelibati? Il tempo…
Ma per fortuna l’Italia è terra di Prosciutti DOP e disciplinari ferrei che impongono cosce di prima scelta provenienti da allevamenti selezionati e costantemente controllati, lavorate a mano dai mastri prosciuttai, usando sale marino come unica spezia per esaltarne il sapore. Il Consorzio del Prosciutto di Parma, ad esempio, ammette solo ingredienti 100% naturali: maiali nati e allevati in allevamenti del nord/centro Italia, alimentati seguendo le indicazioni del disciplinare fornito dal consorzio, con una dieta che include addirittura siero di latte del Parmigiano Reggiano. Le loro cosce vengono conciate con sale marino, senza alcun conservante o additivo. Il tempo poi lavora senza fretta, lasciando il prosciutto indisturbato per almeno 14 mesi. Alcuni campioni sono quindi ispezionati dai tecnici del consorzio che approvano la produzione marchiando il prosciutto con la tipica corona; altri invece possono continuare il cammino della loro stagionatura fino ad arrivare ai 18, 24 o 30 mesi.
Anche il Prosciutto San Daniele DOP nasce dalle mani esperte di pochi mastri prosciuttai che attraverso una conoscenza antica e regole rigorose trasformano carne e sale in un capolavoro di gusto e delicatezza. Ogni prosciutto è il risultato di una lavorazione artigianale che avviene nel rispetto di una tradizione tramandata da secoli attraverso le famiglie e le generazioni. Sempre la rigida sorveglianza del consorzio fa si che i prosciutti che arrivano sulla tavola abbiano passato tutti i controlli sanitari e qualitativi necessari per meritarsi la denominazione protetta. Anche la lavorazione deve avvenire esclusivamente all’interno del Comune di San Daniele del Friuli, con i venti che soffiano più freddi dalle Alpi Carniche e le brezze più calde che salgono da Mar Adriatico generando un microclima costante e originale con una garbata ventilazione che conferisce aromi, profumi e sapori unici.
... ma anche le spezie naturali e l’aglio
Il Prosciutto crudo al pepe prevede invece una stagionatura di 10 mesi dopo esser stato cosparso di sale e pepe nero. In Toscana usano stagionare il prosciutto anche con aromi naturali come aglio, chiodi di garofano e spezie naturali. Il Provenzale è invece una specialità pugliese unica nel suo genere. Perché è il solo prosciutto crudo gourmet ad essere stagionato con profumatissimi semi di finocchio.
La dolcezza scaturisce dalle coccole
Dopo i massaggi, in genere i prosciutti stazionano nella cella di salatura per un tempo adatto ad assimilare aromi e profumi, poi spazzolati con cura e appesi nelle stanze di riposo per mesi. Terminato il riposo, si lavano con acqua tiepida e si asciugano in appositi locali prima dell’ultima fase della stagionatura. Pratiche super collaudate nei secoli con passaggi all’insegna della dolcezza che si trasferisce dalle mani dell’uomo alle carni per poi ritornare più dolce che mai al palato.