L’India è senza dubbio una delle nazioni più affascinanti ed influenti del pianeta, meta di vacanze e pellegrinaggi trascendentali, misticismo e tradizione. Il paese che ha esportato il tè nella cultura anglosassone, lo Yoga, – e nondimeno un modo del tutto nuovo di approcciarsi alla spiritualità in generale -, non poteva non assorbire a sua volta qualcosa dai propri colonizzatori. Due esempi che spiccano su tutti: una passione quasi smodata per il cricket, e, la propria fabbrica del cinema nazionale, su modello hollywoodiano. Proprio come la sua controparte ponentina, l’India associa alle più celebri Star di Bollywood femminili look iconici che hanno reso le inquadrature di molte pellicole immortali, stampate per sempre nell’immaginario collettivo di un popolo sempre più numeroso e affamato di progresso.
Gli edit su YouTube delle scene più esilaranti dei film Bollywoodiani, spesso condite da reazioni eccessive, caricaturali, nonché da effetti davvero “speciali”, stunt bizzarri e financo un po’ ridicoli agli occhi di un osservatore occidentale, non tributano il giusto merito ad una industria con numeri impossibili da sottovalutare: oltre 4 miliardi di dollari di fatturato annuo, cifre rese possibili grazie al sostegno di un fedelissimo bacino di pubblico composto da centinaia di milioni di appassionati.
Oltre 10 ore di volo e un modo di intendere il cinema
molto diversi, la divisione che c’è tra Los Angeles e Mumbai è ancora molto netta, ma in fatto di moda e look femminili iconici, l’India non ha davvero nulla da invidiarci. Ne è una testimonianza, il make-up di Madhubala in “Mughal-E-Azam” (1960), una pietra miliare del cinema curry che continua a ispirare le truccatrici professioniste che operano a quelle latitudini; ma anche la frangetta di Sadhana sfoggiata in “Woh Kaun Thi?” (1964), sull’onda del successo della compianta Audrey Hepburn, che Sadhana ha sfruttato per lanciare un trend che l’avrebbe resa una icona di stile assoluta, spingendo tantissime donne, per diverse generazioni, a richiedere il suo taglio.
Sharmila Tagore è entrata nella storia per essere stata la prima star di Bollywood ad indossare un costume da bagno sul grande schermo indiano in “An Evening in Paris” (1967), nonché per il suo celeberrimo, apprezzatissimo, “trucco alato”; Zeenat Aman, divenuta popolare per la sua interpretazione in “Haré Rama Haré Krishna” (1971), precorritrice di un arco narrativo ormai ben noto: la classica trasformazione da “ragazza della porta accanto” a “femme fatale”; Meena Kumari, in “Pakeezah” (1972), è ricordata per i suoi capelli chiari, l’iconico eyeliner e i look glam che caratterizzavano le accattivanti scene di ballo. Esempi di bellezza, ma anche di riscatto femminile che poneva le sue basi proprio sullo stile.
Impossibile fare un paragone sensato
in contesti così differenti: nei loro primi anni di vita, i film di Bollywood e Hollywood avevano obiettivi, finalità e audience troppo diversi, e, di conseguenza la rappresentazione delle donne sullo schermo differiva notevolmente. Bollywood, nata appena qualche decennio prima dell’indipendenza dal dominio coloniale britannico datata 1947, portava sulle spalle il pesante fardello di formare una nazione che potesse finalmente diventare culturalmente ed idealmente coesa, informata ed istruita dalle storie proiettate sul grande schermo.
Le produzioni di quel periodo riflettevano l’intensa agenda socialista del governo, glorificando figure-archetipo come gli infaticabili agricoltori uomini, rappresentando contestualmente la donna come simbolo degli ideali sessisti più vetusti. Le donne nel periodo post-indipendenza dovevano essere infatti inclini al sacrificio, pazienti, perfette incarnazioni di una femminilità gregaria e servile. Ruoli svilenti e riduttivi, persino più marginali di quelli scritturati in un occidente bigotto e maschilista come quello del dopoguerra. I costumi più iconici realizzati a partire dagli anni 60′ sono stati l’emblema di una rinascita: hanno fatto sì che le star di Bollywood riuscissero a ritagliarsi un ruolo sempre più centrale e dinamico all’interno delle sceneggiature, elevandole a simbolo di emancipazione, di femminilità coraggiosa e non più timorosa, sensuale, ma mai lussuriosa.
Negli ultimi anni, anche a Bollywood le donne stanno diventando sempre più protagoniste: lungometraggi come “Queen” (2013), “Piku” (2015) e “Thappad” (2022) sono esempi di storie di giovani donne che non scendono a compromessi. Un clima che sta cambiando, una evoluzione nata a partire dal look, da continuare a studiare ed ammirare sia per appagare la nostra sete di moda e di bel costume, ma anche per riuscire a tracciare una precisa traiettoria sociologica ed evolutiva del ruolo della donna nella società orientale.