Nella storia della tradizione italiana panettone e pandoro occupano una posizione di rilievo durante i giorni di festa: due dolci per antonomasia nati a secoli di distanza. Sono tante le differenze, non soltanto nella composizione meramente gastronomica: se il primo infatti affonda le sue radici addirittura nel Cinquecento, seppur senza una certificazione ufficiale, del secondo si conoscono tutti i dettagli grazie al brevetto del pasticciere Domenico Melegatti, a cui si deve l’invenzione.
Un dolce dalle origini antiche
Tuttavia al contrario di quanto si possa pensare, anche il pandoro presenta una storia molto antica, in parte intrecciata con quella del panettone. Seppur il brevetto sia arrivato “solo” nel 1894, le sue origini potrebbero risalire al periodo rinascimentale.
A suggerire questa ipotesi è l’etimologia del dolce che sembra riportare al “Pan De Oro”, lamine di oro zecchino molto sottili utilizzate per decorare i piatti usate chiaramente solo in ambito aristocratico, in particolar modo quello della Repubblica di Venezia, in cui è stato accertato l’uso di oro alimentare nelle pietanze. Secondo altri studi il pandoro sarebbe una versione evoluta di un altro dolce della tradizione, il cosiddetto “Nadalin” (Natalino), la cui forma tronca ricorda proprio quello del celebre dolciume. È tuttavia acclarato che, ai tempi dell’antica Roma esisteva il “Panis”, pane dorato cucinato con burro e farina.
L’intuizione di Domenico Melegatti
Ma la storia del pandoro, così come la conosciamo, ha una data ben precisa: 1894. In quest’anno infatti Domenico Melegatti, già fondatore dell’azienda omonima situata a Verona, deposita all’ufficio brevetti un nuovo dolce, dalla consistenza morbida e caratterizzato da una forma a stella con otto punte realizzata dal pittore impressionista Angelo Dall’Oca Bianca. La sua fu una decisione molto ponderata; si dice infatti che, prima di presentare il brevetto, il Maestro producesse già il pandoro da ben due anni nella sede di Corso di Porta Borsari.
Non fu comunque un’invenzione da zero: il pasticciere propose una sorta di rilettura personale del levà, dolce veronese di granella di zucchero e mandorle aggiungendogli nell’impasto uova e burro rimuovendone la copertura: il successo fu immediato. Melegatti, intuendo la straordinaria forza della sua creazione, acquista uno spazio sulle pagine del giornale scaligero “L’Arena”, informando la cittadinanza; una grande mossa pubblicitaria che certifica anche il suo grande lato imprenditoriale.
A questo si aggiunge anche una divertente iniziativa lanciata proprio dal maître pâtissier: la grande richiesta del dolce portò infatti diversi altri pasticcieri della zona a proporre imitazioni. Melegatti colse dunque la palla al balzo, mettendo in palio mille lire a chi riusciva ad indovinare perfettamente la ricetta del suo pandoro, forte che nessuno in realtà ce l’avrebbe fatta (così come avvenne).
Le tante anime del Pandoro
A distanza di un secolo oggi il pandoro è il dolce natalizio per antonomasia. La sua forma è rimasta intatta, così come il suo sapore inconfondibile e la sua consistenza soft. Malgrado tutto, anno dopo anno, sono emerse sempre più variazioni, dettate soprattutto dall’avvento della concorrenza che, seguendo l’esempio Melegatti, capirono il vantaggio della produzione dei dolci nel periodo di Natale. Tra questi la Paulani, la prima a sfornare sia pandoro che panettone e, successivamente, la Bauli, altro colosso veronese.
Con il passare del tempo il pandoro ha subito diverse trasformazioni ed evoluzioni, soprattutto nella farcia consentendo al dolce di rimanere in auge fino ad oggi. Tra le “variazioni” più richieste spicca ad esempio lo strato di cioccolato sulla superfice, così come i ripieni con le creme chantilly o il pistacchio. Nonostante tutto la versione autentica, quella storica di Domenico Melegatti, resta la più venduta: un classico che non passerà mai di moda.
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