Un libro per raccontare l’esperienza in Dior del direttore creativo Raf Simons. A otto anni dal suo addio continua a brillare più che mai il nome del designer belga, il quale ha costellato di bellezza, innovazione e sofisticata eleganza la maison francese dal 2012 al 2015, realizzando collezioni indimenticabili, molte di queste ancora oggi ricordate con nostalgia. Un apporto impattante quello dello stilista, da poco tempo finalmente cristallizzato definitivamente nel tempo grazie alla pubblicazione de “Dior by Raf Simons”, volume edito da Assouline facente parte della collana Dior Series che ripercorre la storia del direttore all’interno dell’azienda del gruppo LVMH.
Comprendere il contributo di Simons a distanza di tempo
Si tratta di un contributo molto importante, il sesto proposto dalla casa editrice che in precedenza ha approfondito anche l’apporto degli altri maestri che hanno trasformato la maison: da Christian a Marc Boham, da Gianfranco Ferrè a Yves Saint Laurent passando per John Galliano. I testi sono curati dall’affermato critico di moda Tim Blanks, mentre gli scatti – parte fondamentale dell’opera- sono firmati da Laziz Amani.
Tra gli stilisti citati, il profilo più simile a quello di Raf Simons è, – non sarà certamente un caso -, quello del Fondatore: Monsieur Dior infatti, così come Raf, era un grandissimo amante dei fiori e dell’arte, due degli elementi concentrici che spingono da sempre la poetica dell’attuale creative director Prada. In tanti in tal senso ricorderanno il primo fashion show allestito dal belga, contrassegnato da una mastodontica quanto fascinosa installazione floreale all’’hôtel particulier, una meraviglia per gli occhi accompagnata da una collezione in grado di saper rileggere l‘heritage della griffe senza svilirne mai il significato.
Ma non fu un trionfo totale: all’epoca infatti lo show ricevette un’accoglienza divisiva, tra entusiasmo e qualche perplessità di chi sperava di ritrovare quello spirito audace donato dall’esperienza del predecessore Galliano. Oggi però, a distanza di undici anni, si scorge in modo molto più marcato il senso di tutto il lavoro svolto.
L’eredità che sposa il contemporaneo
Il claim dell’esperienza di Simons in Dior, ben sottolineato nel libro, è stato dunque quello di riportare l’emozione degli anni novanta all’interno delle creazioni, mettendo in risalto in modo miracoloso una sorta di omaggio perpetuo, ornato però da una grande attenzione verso il futuro con una moltitudine di citazioni artistiche, riferimenti culturali e filosofici, gioco di volumi e minimalismo ardito.
Una vera e propria ossessione quella di Raf per l’arte, ben riassunta anche nel documentario “Dior and I”, che rievoca proprio i giorni che hanno preceduto il suo debutto. Un apporto che più di altri descrive anche l’attitude e l’approccio dell’artista, sempre attentissimo a portare sulla runway un concetto ben marcato capace di andare oltre l’abito, raccogliendo consensi sempre più alti fino al divorzio, arrivato nel 2015 a sorpresa. Al tempo infatti il creativo, probabilmente spinto da un’estasi artistica, aveva deciso di concentrarsi maggiormente sulla propria linea uomo, senza dunque dover sottostare implicitamente alle esigenze di un’azienda di livello mondiale.
Raf Simons oggi
In realtà dopo l’addio a Dior lo stilista si occupò quasi subito di un’altra sfida particolarmente stimolante: quella di raccogliere un brand mainstream come Calvin Klein elevandolo con la sua visione. Un’avventura che generò anche in questo caso show a dir poco memorabili ( si ricorda la sfilata su una passerella ricoperta di pop corn, simbolo di un’indagine dello stile americano e delle sue contraddizioni) durata però soltanto due anni.
Poi, nel 2020, l’ingaggio con Miuccia e la direzione in tandem in Prada, probabilmente uno dei punti di arrivo massimi della carriera di un designer che si rivela sempre, a prescindere dal riscontro di mercato, una vera e propria macchina d’ingegno e di idee. Quello su Dior, siamo certi, non sarà l’unico libro che gli verrà dedicato.
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