Dal 1873, un filo blu attraversa epoche e paesi lontani: è quello degli iconici jeans levi’s 501, dopo aver vestito generazioni e personaggi diversi, i celebri pantaloni americani oggi festeggiano il loro 150esimo anniversario. Un’occasione preziosa per rileggere la storia, anzi, le storie del capo fashion per eccellenza del XX secolo. Tbilisi, Georgia, 1982: un ragazzo sfoglia una rivista e riconosce la pubblicità di un paio di jeans; sono i Levi’s 501, il simbolo di una generazione in rivolta.
Quanto può valere un paio di Levi’s?
Per il giovane, abbastanza da barattarli con la mucca di famiglia, l’equivalente di un mese di stipendio nell’ex Unione sovietica. I genitori gli diedero dello sciocco, la gente del posto lo ha definito una leggenda.Questa è solo una delle tante storie vere raccontate nella campagna lanciata da Levi’s in occasione del 150esimo anniversario dei suoi popolari 501. “The Greatest Story Ever Worn” – “La storia più bella mai indossata” – intreccia racconti di generazioni, Paesi, culture diverse, uniti dal filo di un capo senza tempo.
Democratici per antonomasia, gli iconici jeans sono nati il 20 Maggio 1873 dall’intuizione del sarto americano Jacob Williams Davis. Aggiungere i rivetti (i bottoncini a pressione) in rame fu la sua soluzione per fissare meglio le tasche di un paio di pantaloni da lavoro in tela. A dargli fiducia, un produttore di tessuti, Levis Strauss, che gli fornì una stoffa spessa in denim e cotone, tipo “tela d’anatra”. Il successo fu tale che quel giorno di maggio, Davis e Strauss depositarono il brevetto del loro sistema di rinforzo, lanciando ufficialmente quelli che sarebbero diventati i pantaloni più famosi per antonomasia. Unici, come il loro celebre numero di lotto, il 501, ottenuto solo nel 1890 e diventato poi firma ufficiale del marchio.
Il resto è storia… anzi, storie
Resistenti all’usura, furono subito il capo da lavoro ideale per minatori e allevatori del West, legandosi così allo stile dei cowboy. Non a caso, i levi’s 501 approdarono sul grande schermo proprio nell’immaginario western di Ombre Rosse del 1939, indossati da John Wayne nelle vesti – in tutti i sensi – del fuorilegge Ringo. E ribelle fu anche Johnny, il motociclista in blue jeans e giacca di pelle, interpretato da Marlon Brando in “Il selvaggio”, nel 1953.
Da allora quei pantaloni diventarono l’uniforme della gioventù bruciata degli anni Cinquanta, in lotta contro le convenzioni borghesi della società. Dopo James Dean, i 501 fecero la loro comparsa non solo nei fotogrammi di film cult, ma anche sulle copertine di celebri dischi, come “The freewheelin” di Bob Dylan del 1963 con il cantante che affonda le mani nelle tasche dei suoi levi’s, abbracciato da una giovanissima Suze Rotolo. Divennero così sinonimo di una generazione: quella in cerca di una sua identità. In marcia per rivendicare le proprie libertà e i propri diritti civili o per manifestare contro la guerra in Vietnam, gli esponenti dei movimenti controculturali degli anni Sessanta scendevano in piazza con i blue jeans.
Da Woodstock in poi i Levi’s 501 furono il simbolo delle contestazioni
e immancabile pezzo del guardaroba di uomini e donne, sempre di tendenza anche grazie alle memorabili pubblicità. Come ricorda Chris Jackman, vicepresidente del marchio Levi’s, i 501 «sono la perfetta tela bianca per l’autentica self-expression, capace di trascendere ogni confine geografico, culturale e sociale». Nei decenni successivi infatti i celebri pantaloni si diffusero oltre Oceano e raggiunsero il Giappone e i black market dell’Unione Sovietica, in un momento in cui il mondo era diviso in blocchi e indossare un paio di jeans era un atto di conquista. Semplici e comodi, sono diventati poi il marchio di fabbrica di alcuni personaggi, come Steve Jobs e Barack Obama. Non stupisce allora che nel 1999 il Times li abbia proclamati «il capo d’abbigliamento del XX secolo», più del tubino nero e della minigonna.
Oggi, dopo aver vestito persone e epoche diverse hanno compiuto 150 anni
A vita alta e gamba larga, squadrati o a sigaretta, questi jeans hanno cambiato vestibilità, ma mai essenza, protagonisti e testimoni della piccola e grande storia. Da qui, l’iniziativa del brand di raccontare come le fibre di questi jeans si siano intrecciate alle vicende di ognuno di noi. Finora, sono usciti tre cortometraggi firmati da registi come Martin de Thurah e Melina Matsoukas e, la narrazione si arricchirà di nuovi contributi che insieme intesseranno davvero la «più grande storia mai indossata». Quale sarà il prossimo capitolo?