La grande sorpresa del Mondiale di F1 2023 è senza dubbio l’Aston Martin, scuderia presente in modo costante nella massima serie dal 2020 (prima con la denominazione Racing Point) e salita vistosamente a colpi di successo anno dopo anno. Un nome, una garanzia, con alle sue spalle un percorso molto tortuoso, fatto di grandi intuizioni, successi, cadute, fallimenti, rinascite. La storia dell‘Aston Martin, affonda origini antiche ed è una delle aziende automobilistiche storiche più chiacchierate del momento. 

Un primo cammino stentato

L’inizio del cammino dell’Aston Martin nasce nei primi anni del Novecento, precisamente nel 1913, quando un meccanico di nome Robert Bamford e un pilota, Lionel Martin, aprono a Londra una concessionaria di auto Singer. Soltanto l’anno successivo, dunque nel 1914 i due soci costruiranno la loro prima vettura da corsa servendosi di un motore Coventry su un telaio Isotta Fraschini. Sarà un battesimo molto fortunato: proprio con questa nuova auto Martin si aggiudica la corsa in salita Londra-Aston Clinton (nome che, come vedremo, verà riutilizzato per la refresh del brand).

Storia Aston Martin Life&People MagazineCome già capitato ad altre storiche case di auto, proprio nel momento in cui la produzione stava cominciando ad ingranare in modo concreto – complice anche l’invenzione della prima auto per tutti, la Coal Scuttle – tutto viene interrotto a causa del primo conflitto mondiale, evento che costringe l’azienda a servire il proprio Paese riconvertendosi  per scopi legati alla guerra.

Il difficile dopoguerra e la svolta del 1926

La guerra lascia degli strascichi davvero difficili. I tanti, tantissimi problemi finanziari e la mancanza di fondi per investire in modo concreto su nuovi modelli porta Bamford a lasciare il progetto. Tuttavia interverrà una personalità in grado di risollevare tutto: si tratta di Louis Zborowski, nobile nonché pilota britannico che però, dopo due lanci non andati a buon fine decide di passare la palla a Lady Charnwood, quest’ultima rallentata dalla crisi e dalla bancarotta del 1926. Malgrado un tentativo costante di far sopravvivere il proprio brand, anche Martin si ritroverà a lasciare il timone.

Storia Aston Martin Life&People MagazineTutto cambierà proprio nel 1926, annata in cui l’azienda viene rilevata da due soci ambiziosi, Bill Renwick e l’italiano Augusto Bertelli. Il duo è già affiatato e soprattutto esperto del settore, in quanto già in possesso di una società legata all’aeronautica con qualche esperienza anche in alcuni macchinari automobilistici. Renwick si occupa principalmente del versante commerciale ed amministrativo, mentre Bertelli si dedica alla parte tecnica. Il sodalizio si rivela in prima battuta vincente e con buone intenzioni: saranno infatti i due soci a ribattezzare l’azienda in Aston Martin, conoscendo però anche loro una crisi in tempi rapidi.

La superstizione (tutta italiana) di Bertelli e il successo vero di David Brown

Anche con l’inizio degli anni Trenta l’Aston Martin sembra non avere pace: una nuova crisi investe infatti Bertelli e Renwick, prontamente salvati nel 1932 dall’ingresso di Lancelot Prideaux Brune, il quale poi cede la sua quota ad Arthur Sutherland. Bertelli non si capacita di come l’azienda non riesca ad ingranare, arrivando a scomodare anche la superstizione. Sarà proprio per mere questioni scaramantiche che l’imprenditore italiano per “ovviare” all’assenza di risultati decide di cambiare il colore delle auto, mutandolo dal verde tipico delle macchine da corsa britanniche a una tonalità vicina al rosso tipico dell’Italia. Incredibile ma vero: solo dopo questo cambiamento cromatico arriveranno i primi successi, gustati però molto poco da Bertelli che, nel 1939, lascia la sua casa a seguito dello scoppio della seconda guerra Mondiale.

Life&People MagazineLa fama dell’Aston Martin, al netto di quanto detto, si deve però a David Brown, altro imprenditore britannico, stavolta specializzato nella produzione di mezzi agricoli. La sua prima vettura sarà la Litre Sports, mentre il primo modello sarà il DB3s, datato 1953 e contrassegnato dalla vittoria al Touist Trophy di Goodwood. Quattro anni dopo invece si rileva il primo trionfo in terra estera, arrivato con la DBR1 in occasione della 1000 km del Nürburgring. Ma oltre ai consensi sportivi la macchina entrerà a gamba tesa anche nella pop culture, grazie soprattutto ai film di James Bond, dove viene costantemente immortalata diventando a tutti gli effetti iconica.

Gli ultimi anni e il successo in F1

Portando l’azienda al massimo delle splendore possibile, Brown decide di cedere le sue quote ad un altro magnate di rilievo, William Wilson. Ma dopo altri tantissimi passaggi Aston Martin approda in un’altra casa automobilistica, la Ford, nel 1986. Un colosso che consentì al brand di allargare in modo sensibile la propria produzione, trovando particolare fortuna con la DB7. Seguirà dunque un periodo molto florido, in cui il colosso riesce anche a fronteggiare la crisi degli anni Novanta sfruttando in modo intelligente la pubblicità de “James Bond Agente 007 – La morte può attendere”, dove il protagonista utilizza la meravigliosa DB75. La casa inoltre ritrova pian piano anche l’attività sportiva, partecipando nel 2004 alla 24 ore di Le Mans.

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Nel nuovo millennio avverranno quindi gli ultimi due passaggi di proprietà:

l’azienda infatti passerà prima a David Richardson e poi a Lawrence Stroll, il quale acquista parte delle quote spendendo quasi 200 milioni di sterline. A lui si deve il ritorno del nominativo Aston Martin in Formula 1: dopo che la casa si era presentata come title sponsor di RedBull dal 2018 al 2020 ottenendo una vittoria con Perez a Sakhir, dal 2021 infatti la scuderia è tornata all’originale Aston Martin, impressionando per qualità di rendimento e per essere oramai considerata un team competitivo di alto profilo, complice l’esperienza di Fernando Alonso e il talento di Lance Stroll, pilota di enorme prospetto. La sensazione, osservando i risultati conquistati nel Mondiale 2023 fino a questo momento (attualmente l’Aston Martin è seconda nella classifica costruttori con 65 punti), è che la storia non sia ancora finita.

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