Lo stile indie sleaze restituisce quel che il Covid ha tolto? In un certo sì. Rientra anche la pandemia nel prepotente ritorno della tendenza diffusasi tra la fine anni 80 e il 2010. Un fenomeno che va oltre il concetto estetico, fondendosi ed evolvendosi con tematiche attualissime come la sostenibilità e la libertà sessuale, due punti cardine delle nuove generazioni.
Cosa si intende con stile indie sleaze?
Stiamo parlando di uno degli stili con più contaminazioni della storia recente. Con il termine indie (derivato proprio da quel genere musicale che almeno nelle intenzioni rappresenta qualcosa di indipendente rispetto ai modelli dell’industria discografica) si indica un look volutamente scomposto e disordinato, in grado di mischiare il grunge tipico degli anni 90′ con un certo barocchismo che guarda agli anni 80′ non rinunciando tuttavia a innesti retrò ed a un pizzico di erotismo.
Ai tempi furono tante le icons a fare scuola sfoggiando outfit prettamente indie: da Kate Moss a Sky Ferreira passando per Mary Kate Olsen, di cui si ricorda la foto passata alla storia con camicia a quadri oversize, stivali da cowboy e collant strappati al rientro da una notte pazza e selvaggia.
Mandy Lee conia il termine Indie sleaze
Di matrice decisamente più recente invece è il termine indie sleaze, usato per la prima volta su Tik Tok da Mandy Lee, influencer e style tender, che rimanda proprio alla “dissolutezza indie” degli anni ‘80 ed al grunge, specchio di una generazione sfacciata e spettinata che più che uno stile rappresentava un vero e proprio mood tra feste ed eccessi. Tantissimi gli outfit riconducibili al trend: dalle minigonne, agli skinny jeans, dalle giacche in pelle e maxi t-shirt a quadri ai collant a rete strappati, ma anche shorts, calze al ginocchio e ballerine; più che un nuovo stile sembra una fiera vintage ed è proprio questo che lo rende così attuale, vista la presenza sempre più massiccia della sostenibilità nella moda, ramo che si è preso il proprio spazio divenendo fondamentale per la fashion industry. Il passato dunque, un’altra volta, riprende possesso del futuro.
Ma il ritorno dirompente dell‘indie style rispecchia soprattutto i bisogni figli dei drammi del 2020, anni che hanno scippato la socialità, spostandola in rete ed obbligando gli individui a fare i conti con un ecosistema malato. A questo si aggiunge una fortissima volontà d’espressione, una forza identitaria per porre l’accento sulla libertà sessuale, di genere e sulla necessità vivere la propria vita liberamente.
Dall’audiovisivo a Marc Jacobs
Uno strumento efficace per immergersi all’interno dello stile arriva, come sempre, dal grande e dal piccolo schermo. Nella prima decade degli anni dieci è entrata infatti di diritto nella pop culture una serie TV che, più di altre, ha contribuito a fotografare il mood indie. Stiamo parlando di “Skins” (2007-2013), manifesto audiovisivo dello stile di vita di una new generation britannica che fra alcol, sesso e droga affronta le difficoltà lasciandosi andare nell’eccesso più sfrenato tra abbandono e malattie mentali; qualcosa di rivoluzionario rispetto ai melodrammi adolescenziali rassicuranti come “Dawson’s Creek“, oggi riconducibile ad “Euphoria”, dramma che ripercorre le stesse tematiche sciorinate in salsa più glam.
E se anche il make-up oggi segue questo item revival con uno style smokey anche le case d’alta moda non si lasciano sfuggire il mood, prendendo ispirazione dalle icone indie e hipster degli anni 2000 come le già citate Kate Moss, Mary-Kate Olsen e Amy Winehouse. A dare il via alla riscoperta dello stile è stato Yves-Saint Laurent con le sue iconiche camicie a quadri oversize indossate come abiti che sono diventate un must generazionale, seguito da Gucci con la sua linea vintage, ma anche da brand come Raf Simons, Chanel e infine Marc Jacobs, il pioniere dell’indie sleaze che nel 2020 ha stupito il mondo con la linea Heaven. Il caos è tornato, più rumoroso e lacerante di prima: l’indie sleaze è vivo più che mai.
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