Dai bauli in legno di pioppo ai 20 miliardi di euro di fatturato; ripercorriamo le tappe fondamentali della storia della celebre maison francese Louis Vuitton.
Bauli e ambizione nella Francia ottocentesca
In un piccolo villaggio chiamato Anchay, nel cuore della Borgogna tra i monti dello Jura, nasceva Louis Vuitton. Era il 1821, e nel mese di agosto iniziava una storia di successo, rivalsa e ambizione. Il piccolo Louis resta orfano di madre a soli dieci anni, tre anni dopo viene travolto anche dalla prematura scomparsa del padre. Evento drammatico che lo spinge verso la decisione di partire per cercare un futuro migliore. Quattrocento chilometri, due anni di peripezie e lavori occasionali, e Louis arriva nella capitale francese. A Parigi la sua giovane intraprendenza e voglia di fare, gli permettono di ottenere un lavoro da Romain Marècheal. Era il 1837 e solo sedicenne lavorava nella bottega del più famoso imballatore e fabbricante di bauli della Francia, colui che realizzava le valige per la fiorente nuova borghesia e aristocrazia che si affacciava per la prima volta nel nuovo mondo dei viaggi.
Un’occasione che Vuitton non si lasciò sfuggire, facendosi ben presto notare per le sue capacità, tanto che Eugeniè di Montijo, moglie del futuro imperatore Napoleone III, lo nomina suo emballeur ufficiale. Sono anni in cui i viaggi e gli abiti (in primis quelli del contemporaneo Worth) non sono il ritratto della comodità. Trasportare bauli pesanti, bombati che possano contenere gli imponenti abiti con crinolina di moda all’epoca, non era lavoro da poco. Louis ebbe un’intuizione e dopo diciassette anni ai servizi di Monsieur Marècheal, decide di mettersi in proprio aprendo nel 1854, fresco di matrimonio con la giovane Clemence Emilie, lo storico punto vendita vicino a Place Vendome, precisamente al numero 4 di Rue Neuve des Capucines.
Acuto osservatore delle esigenze dei viaggiatori dell’epoca, propose bauli per la prima volta piatti, liberi dalla bombatura che non permetteva una semplice impilatura dei bagagli. Piatti, ma soprattutto più leggeri, realizzati in legno di pioppo e rivestiti in canvas grigio, dotati di scomparti come veri armadi da camera. Il successo è immediato e destinato ad una crescita esponenziale, tanto che, oltre alla necessità di aprire una sede produttiva ad Asnieres, Vuitton si trova per la prima volta a dover fare i conti con i falsari. La risposta è la creazione prima di un tessuto a righe, poi di uno a scacchi chiari e scuri che inizia ad essere apposto sulle valige dal 1888.
Louis Vuitton si apre alla moda
Il fondatore muore nel 1892 e il marchio passa sotto il controllo del figlio. Georges, non solo eredita dal padre un’azienda ormai avviata e conosciuta anche fuori dalla Francia, il punto vendita aperto nel 1885 nella centralissima Oxford Street di Londra ne è una dimostrazione, ma riceve anche la sua intraprendenza negli affari. Dopo aver creato l’iconico monogram, nato come garanzia di autenticità, insieme a suo figlio Gaston Louis decide di espandersi in nuove categorie e nel 1959 nasce la linea di borse. Le capacità artigianali e di lavorazione della pelle fanno il resto, e, Louis Vuitton si impone anche nella piccola pelletteria.
Negli anni Ottanta del Novecento la decisione che conferma la forza del brand
Parliamo della fusione nel 1987, con Moët Hennessy, operazione che da ufficialmente i natali a LVMH, colosso della moda francese, proprietario di numerose maison guidato oggi da Bernard Arnault, nonché attualmente l’uomo più ricco al mondo. Arriva poi il desiderio di espandersi nell’abbigliamento sancito dalla decisione di assumere il giovane stilista emergente newyorkese Marc Jacobs, chiamato alla guida della neonata linea prêt-à-porter. Un anno dopo nasce anche la collezione Homme. Grazie alla visione dello stilista, – fresco di licenziamento da Perry Ellis -, Louis Vuitton viene vestito di una nuova sfarzosità tutta pop.
Sono anni di successo e celebrità che porteranno agli inizi del nuovo millennio all’apertura di punti vendita monomarca in tutto il mondo. Gli anni successivi vedono la direzione creativa affidata a Kim Jones per la linea Homme a partire dal 2011, mentre a Nicolas Ghesquière è affidata la linea donna a partire dal 2013 (posizione che ancora oggi ricopre). Nel 2018 arriva una scelta nuova nel panorama; Arnault nomina infatti Virgil Abloh, padre fondatore di Off-White, successore dell’uscente Kim Jones. Scelta audace che ha dato i suoi frutti e continua a darli ancora oggi dopo la prematura scomparsa del visionario creativo dell’Illinois.
Dopo duecento anni di storia, Louis Vuitton è il primo brand del lusso a raggiungere i venti miliardi di euro di vendite annuali, nonostante la crisi post-pandemica e malgrado oggi si ritrovi senza una guida (per la linea uomo) dal novembre 2021. Sono innegabili le capacità imprenditoriali del patron di LVMH, ma anche del CEO Micheal Burke che ha guidato il brand fino a questo momento in cui viene annunciato un cambio ai vertici con la conseguente nomina di Pietro Beccari come suo successore. In questi anni il marchio si è imposto grazie a una forte strategia di marketing, l’organizzazione di eventi itineranti, grandi aperture e collaborazioni come la più recente con l’artista giapponese Yayoi Kusama. La sfida attuale sarà quella di nominare il successore di Abloh e conciliare la crescita inarrestabile con il carattere dell’esclusività, tratto distintivo della storia della maison.
Leggi anche: Rosalia è la guest star della sfilata moda uomo Louis Vuitton