Tempesta Schiaparelli; la collezione Primavera Estate 2023 2024 presentata dalla storica maison alla Fashion Week Houte Couture di Parigi ha scatenato un irrefrenabile emorragia di polemiche. Il motivo? L’uso sfarzoso di tre teste di animali utilizzate da tre supermodel in passerella durante il fashion show. Una scelta decisamente controversa quella del Direttore Creativo Daniel Roseberry che, ispirandosi a una delle opere letterarie più famose di sempre, ovvero “La Divina Commedia” di Dante Alighieri, ha focalizzato nuovamente l’attenzione circa l’uso di pellicce nella moda. Scivolone o sagace operazione di marketing?
L’indignazione sull’uso di animali e pellicce
Una ventata di indignazione arrivata immediatamente dopo la fine di un défilé che ha visto alternarsi in passerella, tra le altre, Sharlom Harlow con il corpo di una lonza, Irina Shayk con un’austera testa di leone, e Naomi Campbell in una veste quasi antropomorfa dove svetta sul lato sinistro la testa di una lupa. Tre animali che nell’inferno dantesco rappresentano la lussuria, l’orgoglio e l’avarizia.
Ma queste tanto discusse riproduzioni, come specificato dal creativo stessa, rappresentano delle vere e proprie armature utili a far sentire le donne protette e sicure. Nel lavoro di Roseberry dunque – fortunatamente – non c’è nulla di naturale. Tutti questi maxi elementi di (finta) tassidermia sono stati creati infatti con resina, schiuma e materiali artificiali. Malgrado tutto però in tanti hanno lamentato proprio la decisione di utilizzare anche solo livello concettuale gli animali in questa modalità, sostenendo quanto il messaggio mandato dal brand – seppur lodevole – sia dunque sostanzialmente sbagliato.
La critica più feroce in tal senso è stata quella di presentare, nel 2023, la testa di animale come un trofeo, e dunque di romanticizzare in qualche modo anche una pratica molto discussa come quella della caccia. Ma non sono mancati comunque dei commenti iper positivi, anche da parte di associazioni solitamente in prima linea in battaglie animaliste e ambientaliste. Ingrid Newkirk, Presidente di Peta (nota associazione per i diritti degli animali) ha lodato non a caso la collezione Schiaparelli esprimendo un parere opposto a quello citato, sostenendo quanto una collezione dove non c’è traccia di pelle e pelliccia vera non possono fare altro che celebrare la bellezza e la maestosità degli animali salvatici.
Un concept poco recepito?
Appare evidente dunque quanto la cosiddetta first impression (il primo impatto), abbia assunto un ruolo determinante nella vicenda. Un’elaborazione oggettivamente didascalica come quella confezionata da Schiaparelli che ha catturato l’attenzione anche del pubblico più occasionale che, incosciente di quanto il fashion system si stia in realtà prodigando in scelte più mirate alla salvaguardia dell’ambiente e cruelty free, ha subito commentato in modo negativo la sfilata, prendendo di mira soprattutto gli influencer di spicco presenti in prima fila come Kylie Jenner e Chiara Ferragni.
Tra gli altri pezzi passati più sottotraccia a causa proprio del grande sfarzo dei tre capi-animaleschi spiccano poi abiti scivolati, paillette prodotte con lastre di lamiera rivestite con il cuoio, gonne lavorate e ricoperte da perline in legno, corsetti strutturati con una lavorazione durata per mesi in quello che è in toto – dunque non solo nella trovata delle teste – un “artificio ricercato”, espressione utilizzata dallo stesso Roseberry in fase di commento.
Una provocazione volontaria
Insomma, difficile credere che una casa di moda di lungo corso come Schiaparelli – brand che è passato dalla matrice surrealista cara alla sua fondatrice a un tipo di approccio decisamente più sopra le righe e provocatorio – non possa avere calcolato una reazione brusca da parte degli spettatori. I maligni pensano infatti che dietro a tutto questo ci sia una finissima manovra mediatica e di marketing. Una strategia che ha sortito gli effetti desiderati, visto che il caso delle teste animali ha monopolizzato l’intera fashion week parigina, oscurando per larga parte anche altre sfilate. Solo il tempo, dunque, ci dirà se l’intuizione di Roseberry sia lungimirante e azzeccata, in nome di quel famoso concetto “nel bene, nel male, purché se ne parli” che, sembra essere un motto ancora estremamente evergreen.
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