Un look tra streetwear e sportwear, loghi extra large, timberland ai piedi e i primi fast food come luoghi di ritrovo; è questo, per sommi capi, l‘identikit del paninaro, una delle ultime vere sottoculture italiane esplosa negli anni Ottanta a Milano e, dopo quasi quarant’anni, si ritrova ancora oggi, seppur in forme e vesti totalmente indifferenti. Ma quando è nato tutto? In quale contesto storico si sono inseriti i paninari?
Una Milano scintillante
Negli anni Ottanta in linea generale l’Italia era investita da una splendida aria di cambiamento e di rinnovamento che, per prima, ha soffiato proprio sulle grandi metropoli come la città meneghina. Non a caso, proprio per indicare la fiorente vita sociale milanese, venne creata l’espressione “Milano da bere”, usata in modo scherzoso per accentuare la vivacità di ciò che accadeva all’ombra della Madonnina.
Da un punto di vista culturale poi tutto era fortemente influenzato dalla lezione statunitense, presente anche grazie all’esplosione di Mtv (che dopo un decennio sarebbe approdata anche nella versione italiana) e del propagarsi dei blockbuster. Piazza San Babila, a due passi da Piazza Duomo, diventa allora un grande punto di ritrovo e rappresentazione spaziale di un nuovo di vivere, con i giovani che individuano come luoghi di aggregazione sociale le paninoteche e i primi fast food, location perfette per scambiare due chiacchiere e mostrare agli amici l’outfit del giorno. Proprio da qui deriva il termine paninaro.
Per quanto la lettura odierna attribuisca la sottocultura ancorata esclusivamente alla zona milanese, il fenomeno si diffuse in realtà anche in altre regioni d’Italia. A Bologna, altro centro propulsore, c’erano ad asempio gli zànari (chiamati così perché si ritrovano in centro al Bar Zanarini), a Verona i bondolari, a Roma invece i Tozzi, con influenze leggermente diverse rispetto a quelli citate. Generalmente l’estrazione sociale dei ragazzi era della borghesia medio-alta, fattore che permetteva dunque l’acquisto di capi costosi, tutti da sfoggiare in Piazza. Come capitava anche in tante altre sottoculture, si tendeva poi a rifiutare altri contatti con altri gruppi: i paninari infatti, soprattutto quelli di Milano, erano degli animali sociali chiusi e, per certi versi, impenetrabili, complice anche la fascia d’età, legata soprattutto alle scuole.
L’identikit del paninaro
Tutt’altro che difficile riconoscere l’outift tipico del paninaro milanese. Tra i capi irrinunciabili spicca il piumino Moncler, rigorosamente con logo in vista e con tonalità prettamente verde, oliva, rosso e blu. Una palette che ritroviamo anche nella versione estiva con polo in coccodrillo Lacoste e t-shirt Mistral. Vastissimo anche l’uso del jeans, sia come pantalone che come giubbotto Levi’s col pelo. Indispensabili poi le felpe Best Company insieme ad altri maglioni, il tutto indossati con una regola unica, quella di essere oversize. Per ciò che concerne le scarpe, tra le più utilizzate non mancavano all’appello le Nike e le New Balance, oltre che ovviamente le Timberland, elementi utili a mantenere altissimo lo spirito di rappresentazione oltre che di attestazione nella società.
E oggi cosa indosserebbero i paninari?
La moda, si sa, si muove in una rilettura costante degli avvenimenti, prendendo ispirazione da avvenimenti storici, tendenze, opere artistiche e, appunto, sottoculture. Ma cosa indosserebbero, oggi, i paninari? Per rispondere basta individuare le componenti essenziali del fenomeno: voglia di stupire, ricerca dell’avanguardia, motivazione nel creare qualcosa di esclusivo e ostentarlo nella massima espressione possibile. Riflettendoci, sono caratteristiche che lasciano intendere quanto in realtà lo spirito dei paninari non si sia mai disciolto, abitando involontariamente nei modaioli di tutto il mondo, sempre motivati a catturare la scena e l’attenzione con un outfit studiato e pensato fino all’ultimo dettaglio. Forse, dunque, c’è un po’ della cultura dei paninari in ognuno di noi. Ed è bellissimo così.
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