E’ l’incubo di tutti gli automobilisti. Di recente sono nate addirittura le app che rilevano la posizione di questo temuto strumento che rileva la velocità. Siamo entrati – grazie al gradito invito ricevuto della fam. Sodi – nell’azienda fiorentina dove ebbe inizio la storia, e dove qui fu ideato e creato il primo Autovelox in Italia. Non tutti sono a conoscenza del grande apporto dato in tal senso da Fiorello Sodi, padre di Paolo che ora insieme al fratello più piccolo e una trentina di collaboratori gestisce l’azienda di famiglia “Sodi Scientifica” a Calenzano dove vi è un proprio museo con tutti i prototipi e strumentazioni.
Da dove deriva il termine “Autovelox”?
Precisamente dalla Germania. Nel 1957 infatti la nota azienda Telefunken lanciò sul mercato il primo rilevatore di velocità, poi prodotto in serie per le forze dell’ordine. Il primo autovelox è un prototipo pensato e costruito immaginando un futuro con un traffico sempre più intenso e caotico a causa del boom economico e adottato solo nei primi anni 1970 in Italia nell’era della crisi energetica per diminuire il consumo di carburante. In esposizione nel museo dell’azienda fiorentina ci sono tutti gli autovelox, dal primo all’ultimo compreso quello dei 110 km/orari voluto negli anni del Ministro Ferri che lo rese celebre con il “Decreto Ferri” entrato in vigore nel luglio 1988.
Il “decreto” prevedeva soglie differenti in base alla cilindrata, oltre che per tipologie di veicolo; il nuovo provvedimento riduceva a 90 km/h la velocità massima consentita su strade extraurbane e a 110 km/h quella sulle autostrade, di fatto livellando i limiti per vetture di potenza e cubatura differenti (quelle oltre i 1.300 cm3 di cilindrata, per esempio, prima potevano raggiungere i 140 all’ora sulle grandi arterie e quelle comprese tra i 901 cm3 i 1.300 cm3 potevano spingersi fino a 130 all’ora).
Il nome “Autovelox”: inventato e poi divenuto marchio registrato da Fiorello Sodi
negli anni 60, il fondatore (insieme a Carla Sodi) della “Sodi Scientifica”; la denominazione ha poi coinvolto anche tutti i dispositivi similari finendo poi sui dizionari di lingua italiana come sinonimo di misurazione di velocità espandendosi velocemente in tutto il mondo. L’intuizione di Sodi fu geniale e rivoluzionaria. L’ingegnere, noto per la sua voglia di sperimentare, pensò di creare uno strumento basato su una coppia di sensori in grado di captare la velocità delle vetture.
Il prototipo poi presentato con grande successo alle autorità cittadine, superando i test effettuati lungo il Parco delle Cascine di Firenze per poi cominciare una lenta espansione. Nel 1974 il modello 101 verrà quindi acquisito prima dalla Polizia stradale e, successivamente, anche dalla Municipale. Ad oggi si contano, in estrema sintesi, tre macro gruppi di autovelox: i cosiddetti apparati a fotocellula – ovvero i più diffusi che dispongono di due fotocellule laser solitamente utilizzati negli autobox (le postazioni fisse metalliche situate ai bordi della carreggiata) – e gli apparecchi laser, in genere adoperati manualmente dall’operatore: in questa famiglia rientrano poi le TruCam, determinati tipi di telelaser con la dotazione di una scheda video ad alta risoluzione che permette uno studio più completo dell’infrazione.
Curiosità: perché gli autovelox in Italia sono segnalati?
Spesso, anche in conversazioni occasionali, si finisce sempre nel parlare di un paradosso che coinvolge la normativa del nostro Paese. In Italia infatti, soprattutto nei tratti autostradali, è prontamente segnalata la presenza degli autovelox con uno o addirittura più cartelli di segnaletica. Ma qual è il motivo di tutto questo? Che senso ha avvisare il conducente della presenza del dispositivo? Per caso lo Stato ci vuole “aiutare” a non ricevere una contravvenzione a casa?
La risposta è spiegata con un ragionamento. Spesso l’autovelox è visto come strumento punitivo, come modo antipatico per far cadere i conducenti nella trappola e far comminare multe a più non posso alle Forze dell’Ordine. Ma non è così: segnalare la presenza del dispositivo significa semplicemente spingere, in modo implicito, il conducente a ridurre o limitare la sua velocità di marcia. Una normativa presente quasi ovunque in Europa: si è pensato, e i numeri lo confermano, che disseminare le strade di cartelli che ricordano ai guidatori la presenza di eventuali controlli li renda automaticamente più prudenti.
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