Internet, televisione e non solo, le lingue, come i tempi, cambiano e, l’italiano non fa eccezione, diviene snaturato. Le parole si trasformano, le espressioni mutano, i modi di dire si evolvono e si aggiungono vocaboli ad una lingua in continuo movimento.
L’idioma che fu di San Francesco d’Assisi, presumibilmente,
siamo nella prima metà del 1200, il primo ad abbandonare il latino e a comporre un poema – il Cantico delle Creature – in “volgare” (latino parlato dal volgo o popolo), di Petrarca, Boccaccio e di Dante che con la Divina Commedia (inizi del ’300) scritta in fiorentino è riconosciuto da tutti come padre del nostro lessico e di Alessandro Manzoni, realizzatore dell’unificazione linguistica dell’Italia in un unico linguaggio nuovo (primi decenni del 1800), non letterario ma comprensibile a tutti, utilizzato anche per I Promessi Sposi, pur non essendo in fase terminale, oggi non gode certo di ottima salute.
Un italiano snaturato, che si sta impoverendo, fatto paradossale
se pensiamo ai sempre nuovi termini che si aggiungono al nostro dizionario. Ma se analizziamo attentamente la derivazione di questi neologismi, non possiamo che ammettere una regressione linguistica. Il congiuntivo sembra essere più usato che cinquantanni fa ma molto spesso è impiegato male, il trapassato remoto e il futuro anteriore sono pressoché spariti dall’uso comune. E questi sono solo alcuni esempi. Il sempre più diffuso utilizzo di SMS ed e-mail, da parte di giovani e non, dove le abbreviazioni, per ovvi motivi, la fanno da padrone, l’aumento di chat, stanze virtuali dove si comunica con tanti simboli e poche parole, e di slogan lapidari usati in pubblicità, contribuiscono a questa barbarie linguistica.
La diffusione dell’informatica ha creato termini entrati nel vocabolario
come “bannare” (vietare l’acceso a un utente), “downloadare” (scaricare un file da una rete) o “defacciare” (modificare illecitamente parti di un sito web). I mass media utilizzano vocaboli, per notizie di cronaca o politica, come “carcerizzare” (un modo critico di indicare la punizione con il carcere), “Dico” (diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi) e “pizzino” (pezzettino di carta o bigliettino). Da oltreoceano arrivano termini come “crossmediale” (che opera su più media). Inoltre, anche la comunità scientifica con le proprie scoperte fa la sua parte, “acido abscissico” (un ormone vegetale) ad esempio è una new-entry (nuova entrata, altra eredità anglosassone). Si può tranquillamente affermare che la comunicazione di massa, conia, utilizza e diffonde rapidamente nuovi vocaboli che spesso stridono con le nobili origini della nostra lingua.
La colpa, contrariamente a quanto si possa pensare, non è solo di internet,
della televisione e dell’inglese – che da decenni si insinua nella nostra terminologia cambiandone l’aspetto -, ma della scuola, che con le sue regole obsolete oppone poca resistenza a queste “incursioni”, e del fatto che forse si scrive di più, ma si parla e si ascolta sicuramente meno e, soprattutto, si leggono molti meno libri. Le opere letterarie, per definizione, utilizzano un italiano corretto, spesso un linguaggio ricercato e una lirica “confrontata” e consolidata. Insomma, oggi si comunica più che un tempo, chiunque può esprimersi liberamente e con una eco enorme: TV, Internet e giornali arrivano ovunque, ma se chi scrive, parla o urla, lo fa storpiando e modificando a piacimento, per comodità o ignoranza, la nostra lingua, i risultati sono questi. Un italiano caduto sempre più in basso, dove volgare non significa più popolare…
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