Svelando la sua vera identità, Olivier Rousteing, direttore creativo al timone di Balmain da oltre 10 anni, si racconta nel documentario Wonder Boy. Il lato inedito e più nascosto del “ragazzo prodigio” va in scena a Parigi, nella Ville Lumièere, attraverso un film intimo e personale. La pellicola racconta la storia del designer conosciuto il tutto il mondo; una vita trascorsa alla ricerca delle sue origini e dei suoi genitori biologici. Lo stilista, classe 1985, a soli 25 anni, è uno dei più giovani designer alla guida di un celebre marchio francese. Il protagonista del lungometraggio è accompagnato da sempre dalla convinzione di discendere da una razza mista.
Oliver Rousteing, direttore creativo della maison Balmain,
nella pellicola, si rivela protagonista di un viaggio tra culture, che ha per meta la scoperta delle proprie origini. Il documentario si configura come un filo d’Arianna intimista, labirintico, tra scoperte sconvolgenti e momenti struggenti. Sotto l’occhio benevolo della cinepresa di Anissa Bonnefont, il film, uscito a giugno su Netflix, ritrae lo stilista osannato dal pubblico e grande amico delle celebrità; ma, soprattutto, rappresenta la testimonianza rara di un ragazzo, tormentato e solitario, alla ricerca della sua identità.
“Celebrando da dove veniamo, possiamo vedere chiaramente dove siamo diretti”.
Questa frase, monito e mantra di vita per Olivier Rousteing, influenza lo stesso lavoro dello stilista, nel quale l’ispirazione artistica è tratta dal suo straordinario viaggio personale.
Di padre etiope e madre somala, ma cresciuto a Bordeaux coi due genitori adottivi bianchi,
il designer usa l’abbigliamento per intavolare tematiche come l’adozione, la diversità, la cultura di massa. Quando apre il suo profilo Instagram nel 2013, Olivier accorcia quella distanza che aveva sempre diviso il pubblico popolare dal lusso. Rousteing, fin dall’inizio, sembra essere un avatar alla scoperta di nuovi percorsi. Sin da subito anti-elitario ed estremamente ambizioso, il giovanissimo designer, in poco tempo, sestuplica il fatturato della maison. Lo stilista unisce il pragmatismo della fast fashion (tra i successi di cui va più fiero, vi è la collaborazione con H&M) a una decisa forza di forme e tagli. Rousteing attinge a piene mani alla ricchezza delle conoscenze tradizionali di alta moda dell’atelier Balmain ma, in primis, imposta una nuova silhouette; glamour, contemporanea ed eterogenea, dall’allure esotica, riflette lo stile di vita dei membri della cosiddetta “Balmain Armay”.
Quest’ultimo termine si riferisce all’esercito di giovani seguaci appartenenti alla generazione dello stilista.
L’universo della casa di moda è, oggi, inscindibile dalla cultura del XXI secolo, e dalla scena musicale pop attuale. Anche la parola “famiglia” affiora, frequentemente, nel lessico quotidiano dello stilista, svettando, appunto, sotto forma di hashtag #BalmainFamily, tra i trend topics del web. Tra le celebrity che contribuiscono al successo della moda di Rousteing e all’incremento di quello che è il fenomeno della “Balmania”, c’è sicuramente Kim Kardashian. La modella statunitense definisce il suo stile tanto giocoso quanto sfrontato, variegato, perché spazia dallo scultoreo al casual, risultando in ogni caso singolare ed originale. La lungimiranza del designer rende possibile la promozione del brand oltre le vetrine e i red carpet: amplia la platea dei propri fashion show, come dei veri e propri eventi pubblici.
Di recente, inizia a chiedersi, tuttavia, se, sovrastato dal rumore delle sue ambizioni lavorative, non abbia finito per smarrire una parte di sé, non riuscendo più a sentire la voce dell’uomo. La voce di Oliver, la persona dietro le quinte, lontano dalle luci dei riflettori. Questa consapevolezza lo induce a rompere delle barriere più intime, più profonde. Ritiene di aver sempre indossato una pseudo carapace; di aver esagerato con l’interpretazione di un personaggio che ha finito per sopraffare la persona reale. La maschera potrebbe, così, confondersi o, peggio ancora, identificarsi con il suo vero volto.
“Wonder Boy” rappresenta il primo sforzo compiuto da Oliver Rousteing per guardare in faccia il proprio io.
Stando davanti alla telecamera, è come se stipulasse un contratto con se stesso. L’essere osservato dagli occhi di singole persone gli richiede molta fatica; una fatica che si contrappone alla facilità con cui lo stilista riesce a mettersi in gioco sotto lo sguardo di un vasto e anonimo pubblico. Tra frammenti di identità evanescenti e ricordi sfocati, Rousteing torna indietro nel tempo. Rievoca l’immagine di sé di bambino solitario, introverso, vittima della cattiveria dei compagni di scuola. Ma affiora a galla anche la memoria di un bambino che fantastica con l’immaginazione, perdendosi tra la grandezza della cultura pop e le top model che la incarnano.
Oliver scopre che, al momento del suo concepimento, la madre aveva soltanto 14 anni e il padre 25.
Nei documenti depositati al momento della nascita, inoltre, la ragazza non accenna al padre del bambino. Questa scoperta sconvolge completamente Olivier, il quale sperava che i suoi genitori biologici fossero due adulti innamorati. La ragazza madre subisce, tra l’altro, un parto cesareo, dovuto, probabilmente, alla corporatura ancora troppo stretta e piccola per generare un figlio. Wonder Boy si conclude con l’immagine di Olivier che scrive una lettera alla madre naturale; lettera che poi non spedisce per paura di introdursi forzatamente nella vita della donna.
La speranza dello stilista è quella di essere visto e riconosciuto dalla madre mentre è all’apice del suo successo, e magari di essere contattato da lei. Olivier conclude il viaggio all’interno di se stesso, confermando la natura introversa della sua personalità e la messinscena dell’immagine di fascinoso party boy delle notti parigine. Ribadisce, poi, il bisogno personale e incolmabile che sente di essere amato non da una sola persona, ma da tutti, di essere sotto lo sguardo del pubblico per sentirsi vivo. Sogna una libertà senza limiti e senza freni, un volo infinito, verso l’alto, anche correndo il pericolo di dover, poi, cadere giù.
Leggi anche – L’El Dorado di Balmain sfila alla Paris Fashion Week