Monica Vitti in un ritratto inedito: poesia e ironia contro l’opacità del mondo, la sua magia come “polvere di stelle”.
Occhi verdi, felini, infinitamente espressivi e uno sguardo sempre un po’ sorpreso; capelli arruffati color grano, adorabili lentiggini sulle gote, labbra sensuali; la voce roca, decisamente unica, è lei: inimitabile, amatissima Maria Luisa Ceciarelli.
“Quante lacrime, quanta felicità! Avete mai amato? Avete mai sofferto per amore? No? E allora che state a guarda’?” ( Dal film – Il dramma della gelosia)
Nata a Roma nel 1931, Maria Luisa Ceciarelli, non ha un’infanzia facile; la sua ricerca di attenzioni è sempre sminuita dalla famiglia numerosa e severa che non crede mai in lei. “Quel fisico secco, secco, non ha le curve, ha il naso sbagliato e poi… quella voce”. La ragazzina però, pur nella sua fragilità, è determinata e volitiva e trova nella recitazione la sua via di fuga: fingere di essere qualcun altro e vivere altre vite. Entra all’ Accademia Nazionale d’Arte drammatica e debutta sul palcoscenico a 14 anni. E’ il suo grande Maestro Sergio Tofano a suggerirle di cambiare nome rimpicciolendo il cognome Vittiglia di sua madre. Non sono ancora gli anni Sessanta e Monica conosce il regista Michelangelo Antonioni durante una seduta di doppiaggio.
“Mi piacciono le storie, non le favole”
Vestita di nero, con gli occhiali, senza trucco, i capelli raccolti in modo arruffato: praticamente una suora. Lui le si avvicina e le dice: “Ha una bella nuca”. Lei risponde: “ ho anche una faccia o mi vuole inquadrare solo di spalle?” Alta 1,73, bionda, dal fisico longilineo, lontana dall’estetica stereotipata delle attrici del tempo; assolutamente non convenzionale, è ciò che Antonioni cerca per i suoi film, altrettanto in controtendenza. Antognoni ne coglie la bellezza inconsapevole, s’innamora della sua profonda femminilità, della voce di sabbia, della fiamma del talento, dell’intelligenza cristallina e delle sue gambe.
Insieme Vitti e Antognoni girano quattro film e si amano per anni.
Lui distaccato, meticoloso, intellettuale; lei attrice intensa, sensuale, realmente problematica, scontrosamente eclettica, interprete eccezionale dell’angoscia e del vuoto esistenziale; vivono una simbiosi professionale e sentimentale. Con i guadagni del film L’avventura, Monica compra un appartamento direttamente sopra quello di Michelangelo, collegato da una scala interna ma autonomo. Insieme, Michelangelo Antonioni, il regista, e Monica Vitti, la musa, conquistano il mondo. Ciò che resta di un amore che fu grande, sono i film, tutti capolavori. Uno premiato a Cannes; uno Orso d’argento a Berlino; un Leone d’oro a Venezia.
Monica sgretola il monopolio della comicità agli uomini.
“Ho capito di avere un talento per la commedia quando recitavo ruoli tragici in un modo che faceva ridere i miei amici dell’Accademia. Ho capito solo dopo che dono straordinario fosse”.
La svolta comincia nel 1966, quando accetta un film d’intrattenimento inglese in stile 007 diretto da Joseph Losey, nel quale interpreta un’eroina che da mente criminale diventa agente segreto. Il ciclone Vitti in versione comica esplode. La stangona bionda, per nulla attaccata all’avvenenza, ma di una bellezza conturbante, è anche capace di far sbellicare dalle risate gli italiani nel film di Mario Monicelli “ La ragazza con la pistola”. Questo dirompente successo allontana Monica dai drammi esistenzialisti che l’avevano resa nota al grande pubblico. Vince il Premio David di Donatello come miglior attrice nel 1969, il Nastro d’Argento sempre nello stesso anno e il premio come miglior attrice al Festival di S. Sebastian, diventando la protagonista indiscussa della Commedia all’Italiana.
“Scoprire come far ridere la gente è come scoprire di essere la figlia del re”.
S’innamora del direttore della fotografia Carlo Di Palma con cui vivrà un amore sempre in connubio con il lavoro.
“Ci siamo conosciuti sul set di Deserto rosso. Mai avrei pensato di legarmi a lui, anche perché avevo deciso dentro di me che mi bastava un uomo per tutta la vita. Carlo è un uomo interessante, ma per me ancora incomprensibile. Un istintivo molto complicato… Non credo che potrei amare un ingegnere o un medico: sento il bisogno di condividere con i miei uomini anche il lavoro. Con me lui ha fatto la sua prima regia, Teresa la ladra”.
La profonda amicizia con Alberto Sordi, suo fidato confidente; due anime che si sorreggono l’un l’altra. Anche nella vita.
Grazie a lei, la nostra storia del cinema passa anche tra le note di un cabaret dell’avanspettacolo, “Ma ‘ndo vai se la banana non ce l’hai?”. Se è vero che l’uomo è fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni, ossia stelle, allora «Polvere di stelle» finissima è piovuta su Bari nel 1973. Travolgente e sciantosa nel film “Polvere di Stelle” intraprende il periodo dei film ironici e «adulterini» col suo amico Albertone, quelli in cui Monica viene anche spesso comicamente picchiata.
“Credo di non essermi mai divertita tanto come durante i film con Alberto Sordi. È il mio compagno di giochi, un attore geniale, un uomo simpatico e generoso. Pignolo e igienista peggio di me. Le botte come le prendo io non le prende nessuno. E ne ho prese tante”
Così tante che ad un certo punto chiede una controfigura, che sarà una ragazza quindicenne di nome Fiorella Mannoia.
La Vitti è il simbolo femminile del cinema italiano,
l’anti-diva per eccellenza, diventa anche un’icona dell’emancipazione femminile; grazie al suo temperamento decisamente moderno, sotto tutti gli aspetti: il look e l’abbigliamento giovane e attuale, ma anche la sua libertà dalle convenzioni, dimostrata dalla scelta di rimandare per anni il matrimonio malgrado le lunghe relazioni. Soltanto nel 1995 la Vitti convola a giuste nozze con il fotografo Roberto Russo, più giovane di lei di 16 anni, precorrendo quindi i tempi anche in questo.
“L’amore è amore. Per me è una necessità. Non potrei vivere senza di esso. L’amore è una condizione fisica e mentale che si trova nel sangue e negli ormoni. Ci sono quelli che non sanno e non possono amare. C’è chi si diverte e ne ha bisogno, io ne ho bisogno. Sono appassionata”.
Anche in questo ritratto inedito Monica Vitti è un mistero,
un’unità inafferrabile che si forma nella molteplicità, un volto che ha prestato se stesso a tante donne differenti, ognuna con la sua storia e il suo vissuto. È comparsa in pubblico per l’ultima volta nel 2002; in una delle sue ultime interviste dichiara:
“La recitazione è un lavoro pericoloso, basta che ti succeda qualsiasi cosa nella vita, chessò un pensiero, un problema che tutto quello per cui hai studiato svanisce”
Come ti descriveresti?
“Se sarò costretta con una pistola alla testa a descrivermi, obbedirò e comincerò così: una vera bionda, una vera astigmatica, una vera passionale, una vera mangiona, una vera amica, davvero curiosa e non sono interessata ai pettegolezzi perché me ne dimentico”.
Se a noi accade di poter essere felici davanti allo schermo, dopo un film, non dimenticheremo tanto in fretta l’interprete di questo stato d’animo.
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