L‘antropologia della moda è lo studio sul ruolo dell’abbigliamento dell’uomo attraverso le varie società umane.
Questa scienza descrive i cambiamenti culturali relativi alla cultura dell’abbigliamento.
Generalmente numerosi autori delle discipline moderne collocano il fenomeno della tendenze moda storicamente e geograficamente nella società occidentale.
Nel quattordicesimo secolo, infatti, nelle corti europee, in particolare alla corte francese di Luigi ΧΙV, si sviluppa la nascita del capitalismo mercantile.
Proprio il Re Sole, infatti, sa servirsi con consapevolezza ed abilità della moda come mezzo per la costruzione della supremazia culturale francese in Europa, oltre che per gestire gli intrighi a corte.
La moda nasce dall’emergenza e dallo sviluppo della cultura moderna occidentale dove si sviluppano quelle condizioni che favoriscono la propensione al cambiamento dei fenomeni dell’abbigliamento e uomo.
L’Antropologia della moda analizza i cambiamenti fashion nel corso dei secoli
Nella storia di ogni cultura i contatti con altri popoli hanno sempre portato mutamenti e contaminazioni anche nel modo di abbigliarsi.
Ma come ci si veste nel corso dei secoli?
Ciò che viene riconosciuto in maniera indiscutibile dell’antropologia della moda consiste nel riconoscere alla moda stessa le seguenti caratteristiche.
E‘ un fenomeno che esiste dove la mobilità sociale è possibile; possiede il suo indistinguibile carattere di produzione e distribuzione. Infine la moda si caratterizza da una logica di regolare e sistematico cambiamento.
Moda è l’abito la cui caratteristica proprietà consiste nel rapido e continuo cambiamento di stile… moda in una parola è cambiamento. ( E. Wilson, Adorned in Dreams: Fashion and Modernity, London, Virago, 1985).
Ogni definizione di moda deve porre la sua enfasi nell’elemento di trasformazione che da sempre associamo al termine.
La moda è collegata al fenomeno del cambiamento culturale e si sviluppa con l’emergere di mutamenti economici politici e sociali diventando uno strumento individuale nella lotta al riconoscimento.
Anche Oltremanica nel Seicento il discorso sull’antropologia della moda si focalizza
sulla denuncia degli eccessi prodotti dalla passione per le novità e i cambiamenti in materia di abbigliamento.
I moralisti dell’epoca assimilano la moda al lusso e alla spreco che, sia in Inghilterra che in Francia, trovavano la loro glorificazione a corte.
I sovrani dell’epoca Stuart danno un notevole impulso alla vita di corte al fine di esaltare la dinastia e la corona, adottando uno stile molto legato allo sfarzo e all’ostentazione.
La corte diviene quindi, per i critici dell’epoca, il luogo in cui si celebrano i rituali del consumismo vistoso in nome della “dea moda”.
I palazzi nobiliari sono visti come il grande untore della dissolutezza, che, attraverso la moda, contagia il paese intero. Dietro la moda si cela l’opposizione politica alla monarchia.
Nel corso del XVII secolo la moda diventa un’istituzione sociale nella società europea
Il fashion è persino terreno di confronto ideologico e politico. I sovrani si servono di esso come forma di rappresentazione dello splendore della corona.
Si celebrano quindi lo sfarzo ed il lusso, così come esige l’apparato monarchico.
La moda è impiegata come forma di potere, l’antropologia della moda analizza proprio questo particolare aspetto.
Attraverso la politica della moda il re esercita il controllo sociale e culturale sul suo popolo. Questo è proprio il caso della corte francese che da Versailles propaga a Parigi e nel resto del continente la propria leadership grazie al lusso e al fashion.
La Regina Maria Antonietta in quell’epoca lancia la chemise a la reine, un abito di mussola bianco con maniche al gomito o al polso a scollatura tonda stretto in vita con un nastro o una cintura.
Con la morte del Re Sole si chiude un’epoca e il baricentro della vita mondana si sposta da Versailles a Parigi.
Qui troviamo i salons, le accademie, i teatri, i laboratori che offrono spunti, suggestioni, invenzioni dai quali partono le creazioni che dettano moda.
L’incessante ricerca della novità diventa il motore stesso della moda.
Ma chi tiene vivo l’interesse dei consumatori proponendo loro prodotti innovativi?
Troviamo le specialiste del gusto, una sorta di stakeholder o influencers dei giorni nostri, in grado di cogliere le tendenze dei salons e dei teatri per trasformarle in un insolito accostamento di colori, in un’ardita acconciatura, in un’ originale combinazione di accessori.
Sono le merchandes de modes, delle vere e proprie donne artiste. Figure in grado di trasformare i clienti in signori e in signore eleganti pronti ad essere ammirati in società.
Questa particolare categoria infonde originalità al look delle persone senza intervenire sulla struttura portante dell’abito, ma imprimendo sullo stesso la loro creatività.
Queste figure sono arbiter elegantiarum della Parigi settecentesca. Molto spesso le merchandes de la mode vistano la loro clientela più facoltosa negli hotels particuliers oppure nelle proprie boutique.
La conoscenza dei recenti ritrovati stilistici è quindi il requisito necessario per ottenere lo status di eleganza.
Quanti vogliono essere alla moda devono diventare consumatori competenti.
L’esigenza della Società di trovare informazioni aggiornate e affidabili sulle tendenze della moda porta proprio all’origine della stampa di moda.
Periodici che illustrano le novità fashion ai lettori, prettamente per il pubblico femminile. Questi giornali si sviluppano inizialmente in Francia, Inghilterra, Italia e Germania, tra il 1710 e il 1785.
Tra i più autorevoli il “Cabinet des modes” che rescinde il binomio moda e lusso.
L‘antropologia della moda afferma quindi che l’eleganza nasce dal buon gusto,
ma non si identifica più con l’ostentazione di tessuti preziosi, di gioielli e di accessori costosi.
Nel corso del XVIII secolo il consumo di articoli di abbigliamento intimo è in crescita in Francia e in Inghilterra e interessa i vari strati della società.
Chi indossa i capi di biancheria dimostra una cura del proprio corpo e di rispetto nei confronti degli altri. Essere alla moda, in quest’epoca, è un mezzo di distinzione.
La reputazione che si ottiene da ciò, non dipende più dallo status acquisito dalla nascita, ma può essere ottenuta investendo nel patrimonio del buon gusto.
La moda diviene predominio femminile poichè il gentil sesso vuole apparire sempre bello, affascinante e desiderabile agli occhi degli uomini.
La moda è quindi un mezzo per raggiungere questo scopo.
Nella seconda metà del Seicento scoppia la “guerra della moda” tra Francia e Inghilterra, entrambe le nazioni si contendono lo scettro del fashion.
Carlo II Stuart cerca di arginare l’imperialismo vestimentario francese. Nel 1666 il sovrano inglese adotta un abito modello al quale tutta l’aristocrazia inglese si deve adeguare.
L’abito si compone di tre elementi: l’ampia casacca lunga fino al polpaccio, il panciotto, con o senza manica e i calzoni.
Un’ uniforme che voleva essere di contraltare al lusso cortigiano e aristocratico, che celebra invece la tradizionale sobrietà inglese.
Si vuole inoltre arginare l’influenza del gusto francese causa di nefaste conseguenze politiche e morali. La Società italiana guarda con attenzione ciò che giunge d’Oltralpe.
In Germania anche le signore eleganti si attengono al gusto francese. Nel XVIII secolo in Inghilterra la moda femminile continua a subire il fascino di quella parigina.
Tra il 1760 e il 1770 si diffonde lo stile Macaroni che è quasi una caricatura dell’eleganza
Una versione esagerata della moda continentale adottata dai giovani dall’atteggiamento effiminato che vestono abiti iper attillati dai colori sgargianti e parrucche voluminose.
Nell’ultima parte del secolo la moda inglese diventa sinonimo di moda maschile dalla sobria eleganza grazie ai tessuti raffinati e pratici.
Si diffonde la riding- coat, il capospalla di taglio maschile di taglio sportivo, il fazzoletto annodato al collo, i calzoni di pelle, gli stivali e il cappello tondo.
L’evento che rivoluziona il mercato dei tessuti è l’avvio dell’importazione degli stessi di cotone dell’India. Il cotone orientale è una vera e propria rivoluzione .
E’ un tessuto leggero, gradevole, lavabile. Una vera e propria magia che contagia tutti i ceti sociali perchè l’offerta è talmente ampia da soddisfare tutti i consumatori.
Le stampe floreali conquistano gli europei sempre più affascinati dal gusto orientale.
Tra Seicento e Settecento il panorama dell’offerta moda si arricchisce con la maglieria.
Troviamo le calze lavorate di lana e cotone che trovano riscontro in varie fasce di clientela che ne apprezza la praticità e il contenuto.
Alla fine del Settecento la produzione di maglieria si estende alla confezione di capi per l’abbigliamento intimo ed esterno, come maglie, gilet, calzoni.
L’offerta di vestiario ready-to- wear assunse un’importanza crescente nel panorama inglese, articolando e differenziando gli articoli proposti per soddisfare sia la vendita il pubblico maschile che femminile.
L’antropologia della moda evidenzia che a Parigi gli articoli pret-a-porter si trovano nelle botteghe dei rigattieri invece che dai sarti.
In Inghilterra la vendita di abbigliamento pronto si sovrappone con il commercio di indumenti usati di cui si occupano i rigattieri e i mercanti ebrei.
Anche i banchi di pegno offrono offrono ai consumatori meno abbienti la possibilità di trovare articoli alla moda a basso costo.
Londra e Parigi offrono il terreno ideale per un commercio senza precedenti.
Ed è proprio in queste due città che si formano aree urbane dedicate allo shopping, nelle quali si sviluppano i negozi alla moda.
A Londra i quartieri del commercio sono quelli di Piccadilly e St. James, grazie ai negozi arredati con estremo gusto e raffinatezza. La vetrina è la via maestra per accendere il desiderio dei consumatori.
A Parigi le strade dello shopping si sviluppano in Rive Droite, con epicentro su rue Saint-Honore. Il Palais Royal diviene il cuore pulsante dell’alta società.
Qui si trovano gli spettacoli, i caffè, i club e le case da gioco, ma soprattutto i negozi più lussuosi di tutta La Ville Lumiere. In questa epoca si sperimentano nuove tecniche di vendita.
Si utilizzano nelle vetrine le bambole vestite alla moda, i moderni manichini, per diffondere le ultime novità.
Tra il 173o e il 1760 avviene la diffusione della pubblicità di moda sui giornali. Compaiono le tradecarts, i fogli stampati per inviare le fatture, le corrispondenze, la promozione di cataloghi di nuovi prodotti.
In America si cerca invece di sviluppare un consumismo patriottico che consenta di rendere autonoma la nazione, facendo cresce le manifatture nazionali.
Alla fine del Settecento l’abito femminile adotta linee semplici e essenziali, non ci sono più le armature della gonne, ma i tessuti lisci e le tinte uniche, come il bianco.
Troviamo invece i taffetà di seta, tra le stoffe preziose, i nastri colorati cingono la vita o adornano i capelli. La moda maschile si adegua alla tendenza e adotta pantaloni lunghi invece che al ginocchio.
I capelli corti prendono il posto di parrucche, ciprie e pomate. Il tricolore viene inglobato nell’abbigliamento, compare sui cappotti, gilet, pantaloni, gonne, calze realizzate in bianco, rosso e blu.
In Cina invece il modello vestimentario offre un interessante punto di partenza per comprendere la funzione dell’abbigliamento della stessa società.
Le distinzioni di ceto si riflettono nei materiali impiegati per la confezione di vari articoli di vestiario.
Troviamo il pao, una sorta di kimono, con ampie maniche, indossato in occasioni formali, considerato l’archetipo dell’abito cinese.
In Cina lo stile di vita delle persone è funzionale alla condizione sociale. Le stoffe più preziose sono per l’elite, come i broccati e i ricami dorati, il popolo utilizza invece le sete, i cotoni e le garze.
Il rosso e il giallo sono i colori imperiali. L’abito dell’Imperatrice ha maniche lunghissime che arrivano fino a terra e una lunga gonna.
Il simbolo delle nobildonne è la fenice, mentre le signore di rango inferiore si servono del fagiano.
In Giappone emerge uno stile autonomo non condizionato dalla Cina, le donne di rango utilizzano dodici corti vesti di diversi colori.
Le maniche sono più corte per far intravedere una porzione di capo di vestiario sottostante. Appare il kosodè, l’abito identificativo della cultura giapponese, il cosiddetto kimono.
Inizialmente questo iconico indumento è di colore bianco, poi diviene decorato indossato su pantaloni rossi. Mano mano la lunghezza del kimono aumenta a tal punto che scompaiono i pantaloni.
Compare una fascia che cinge la vita. Il valore estetico e sociale del kimono è dato dal tessuto con cui è confezionato.
Per concludere l’antropologia della moda non è un’invenzione europea,
ma solo in Europa si sviluppa pienamente come istituzione sociale, mentre in India, Cina e Giappone si evolve soltanto parzialmente senza riuscire ad avere pienamente un riconoscimento sociale.
Nel XIX secolo non c’è altra moda se non quella affermatasi nelle società occidentali, che si impone sul resto del mondo, relegando in nicchie le altre tradizione vestimentarie.