Il 9 marzo 2020 un virus, con la ferocia della peste o del colera, colpisce l’Italia alla velocità di una foglia caduta fra venti contrari, spinta  in avanti, verso un futuro disutile e municipalizzato dall’economia europea.

I fiori del male di un Italia colpita dal virus, muovono una massa di popolo verso lo spleen…

Lo sapeva Baudelaire come nasce il male, ché l’Ottocento non è poi così lontano! Così, le società immunocompetenti, il 9 marzo, provano lo stesso sentimento di disgusto, croce e vizio della modernità.

Il popolo osserva lo spettacolo squallido e alienante della metropoli moderna.

I poveri fanno i conti con la spesa, con le bollette e i bonus promessi e mai arrivati; i ricchi dai loro attici, dalle villette con giardini che superano in ettari i parchi pubblici, restano isolati, non si confrontano con la povera gente.

Questa struttura sociale ha a che fare con lo Spleen.

Lo spleen, appartiene alla gente comune; l’ ideale agli eletti, ai non precari, ai votati al vitalizio.

Il 9 marzo i fiori del male restano per le strade. Crescono nella terra secca dell’Italia. I semi vengono da Wuhan, e l’umanità sperimenta la propria impotenza.

I rapporti sociali mutano: nessun gesto terapeutico, nessuna stretta di mano. La salvezza è in asettici mondi virtuali, è nella caccia all’untore, in cui si arruolano fantomatici medici della peste.

Esaurite tutte le possibilità, ci si affida ai poeti: la bellezza per Baudelaire è da ricercare nella morte, non il passaggio a un’altra vita, ma il viaggio, in realtà, verso un mondo disperato, nel tentativo di trovare qualcosa di diverso dallo spleen.

Si può estrarre la bellezza dal male?

Il fiore come tale, vale solo la bellezza di un secondo, il male, nato dallo spleen, rende inutile il fiore, che così finisce nel fango.

“Volete un antidoto al virus?  – vi chiederebbe Baudelaire – guardate nei vostri cuori!”

Il virus, d’altra parte, non è altro che la punta infangata di una serie di cuori.

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