Visitare Napoli significa restare accecati da una luce rossigna, quella dei mille vicoli aperti sui quartieri, dei visi assolati e delle donne affacciate ai balconi come da culle infiorate.
Visitare Napoli significa mettersi quel paio di occhiali “antenne”, con cui guardare piazze, chiese e santi o vetrine come specchi, da dare una specie di struggimento.
Sarete anche voi come Anna Maria Ortese, scrittrice del Dopoguerra,
“zingari assorti in sogno” di una città capitale del sentimento.
E sempre lo stesso sentimento vi accompagnerà nel vostro weekend a Napoli.
In una “Napoli che canta”, per usare le parole di Ortese, con tutte le voci di “animali straziati, meno il canto che è dell’uccello del creatore, alato e felice”.
Il primo giorno inizia con le dita unte di pastiera e babà.
In passato la gente faceva colazione con una pagnotta ripiena di carne e verdura. Si sa che Napoli è rituale, nei gesti e nella cucina.
Il Museo dedicato a San Gennaro è il primo assaggio dell’umanità napoletana. perché la parentela è una questione di famiglia.
C’è chi è parente da venticinque anni e chi da dieci. I parenti di San Gennaro sanno sempre una cosa: ché bisogna pregare.
“Devi pregare”, dicono i vecchi ai giovani. E così San Gennaro sta in mezzo al cuore di Napoli e alle preghiere della gente.
Il Tesoro di San Gennaro si trova all’interno del Duomo di Napoli: reliquie, preziosi, oracoli di fede sono conservati all’interno del Museo.
La visita promette di osservare da vicino le ampolle con il sangue del santo incastonate in un apposito Reliquiario, una teca preziosa costruita in argento dorato, voluta 700 anni fa dal re Roberto d’Angiò.
Dopo la visita al Museo tornerete alla vita reale, come direbbe Ortese, alla corona azzurra del cielo sopra la città; alle strade gonfie di passanti e colori accesi come vive e improvvise fiamme.
Rione della Sanità
Camminate e, camminando, dirigetevi verso il rione della Sanità. In Via Santa Maria Antesaeucula immaginate un Totò bambino correre giù dalle scale del palazzo e affacciarsi al mondo per la prima volta.
Per toccare qualcosa di personale di De Curtis basta scendere alla Sanità. Queste sono le sue parti intime, secondo la gente del posto.
Qui Totò non è mai morto. Troverete tanti banchetti e frasi celebri dell’attore partenopeo che ha segnato un’epoca del cinema italiano: “Perché Antonio De Curtis era un uomo che sapeva pensare”, affermano i napoletani.
Sanità è un quartiere che nasce e vive dentro a una conca: una necropoli.
Qui si seppellivano i morti già in età ellenistica e a seguire, paleocristiana.
Non può mancare un’escursione alla Napoli segreta, alla Napoli sotterranea, ma anche alla chiesa di Santa Maria alla Sanità, che conserva un dipinto ritenuto miracoloso: una Madonna con bambino, che è la più antica immagine mariana conservata a Napoli.
E verso sera andate “a mare”, ché il lungomare fa ’nnamurare…
Da Caracciolo a Partenope fino a Mergellina, eccolo lì il mare con le tre sirene d’Ulisse che cantano e le voci piene di sale. Sceglietevi un ristorante, di quelli tipici, con cena ispirata da canzoni partenopee.
Il secondo giorno del vostro weekend a Napoli vi sveglierete sentendo forte il profumo del caffè
Anna Maria Ortese lo descriverebbe così. “Qualcuno sul fondo della strada sta abbrustolendo del caffè, che mette intorno alle labbra, minuscole come spilli, un alone più roseo”.
Museo di Capodimonte è sinonimo d’arte: pittura italiana e fiamminga della collezione Farnese, una raccolta del cardinale Stefano Borgia, i saloni dell’appartamento storico con l’armeria, e la galleria delle porcellane, fanno di questo Museo uno dei più rinomati al mondo.
Troverete dipinti di Caravaggio, Ribera, Colantonio, arazzi della collezione d’Avalos e numerose, eclettiche, collezioni grafiche.
A pranzo scegliete un trattoria tipica del centro, ordinate un piatto di scialatielli e dopo tornate a camminare.
Andate a Forcella, uno dei quartieri più vitali di Napoli.
“All’inizio di Forcella mi fermai perplessa – afferma l’Ortese – c’era un gran movimento più su, in cima alla stretta via, un ondeggiare di colori fra cui spicca il rosso chiaro e il nero, un ronzare doloroso di voci, un mercato pensai, una rissa”.
Qui le donne nel Dopoguerra vendevano l’oro al Banco dei Pegni. Qui, oggi, potrete rivivere la stessa anima popolata, lo stesso traffico del passato.
Il quartiere è centro artistico e culturale di Napoli e, si dice. che i greci lo abbiano disegnato sulla lettera Y (che ricorda proprio una forcella), lettera legata all’origine dell’universo e della vita stessa.
Anna Maria Ortese, scrittrice di libri che sono veri reportage e spaccati della nostra storia
La città “involontaria”: Palazzo Gravina.
Per una visita innovativa alla città, per incentivare un turismo letterario, dovrete visitare Palazzo Gravina, proprietà terriera delle monache di Santa Chiara, esempio di architettura rinascimentale napoletana, con rimandi all’arte toscana e romana.
Andate in Via Monteoliveto, qui, nei primi anni del Cinquecento, Don Ferrante Orsini, duca di Gravina, acquista appezzamenti di terreno di proprietà delle monache, pagandoli cento ducati.
Quando Anna Maria Ortese visita il palazzo negli anni ’50, si trova davanti alla scena straziante di centinaia di senza tetto, che vivono promiscuamente all’interno del palazzo, alla luce fioca di poche lampade.
“Uscendo con la mia guida cercavo nella mia mente confusa, le ragioni per cui abbandonare subito quel luogo.
Camminavamo verso il corridoio del primo piano. Ora mi apparivano i muri bagnati, corrotti, tutte incrostazioni.
Porte fatte di assi e pezzi di cartone, una donna nel fondo enorme e forte, vestina di nero, ritta, fumava una cicca, e alle spalle della donna, come un sipario, una finestra immensa”.
Perché Napoli è stata anche povertà e dignità insieme, e bisogna saperlo!
Ma adesso allontanatevi dalla storia e finite il vostro weekend a Spaccanapoli: la strada che dai quartieri spagnoli arriva fino a Forcella, tagliando in linea retta la città stessa e, brindate all’ora del tramonto con un buon bicchiere di vino, ché lo sapete no?
A Napoli “possono accadere più cose in un’ora che in cento anni”.
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