Raffaello 500 anni dalla morte dell’artista. È riconosciuto da sempre il suo talento, è consacrato dai Papi, dalla chiesa a dalle cattedre scolastiche di sempre, da migliaia di altri artisti, critici, studiosi etc. etc. e bla bla bla. Il bla bla bla si riferisce ad oggi.

Tutti ne devono parlare, a costo di dire banalità, come avvenne con l’Inferno (meglio infermo) Botticelli, come è avvenuto con Leonardo ben poco tempo fa.

Oggi è di moda lui e tutti via…olé, a osannarne il candore, l’eleganza e la purezza. Genio e sregolatezza non esistono in lui al contrario dei misteriosi e torbidi Leonardo e dello scapestrato Merisi. Palle! Fortissimamente palle!

A parte che genio va d’accordo con regolatezza come erano Mozart, i Beatles, Leonardo, Picasso etc. Ovvero la consacrazione dell’iter lavorativo senza pausa perché necessità interiore e pulsante.

Raffaello: 500 anni dalla morte dell’artista

Raffaello forse fu un’altra cosa…Sicuramente una grande abilità gli consentiva di imparare subito copiando e citando mille autori fin da bambino. Basta guardare, a soli 21 anni, come copiò lo sposalizio del suo maestro Perugino, trasformando la sua opera in una sublime citazione: Lo sposalizio della Vergine.

Grazie anche al suo allevamento in bottega (il padre era valente artista e scenografo e titolare di un prestigioso atelier, diremmo oggi), a undici anni, morto il padre, già era in grado di barcamenarsi nel lavoro.

Ben presto organizza la più fiorente bottega in cui confluiranno numerosi artisti quali allievi o collaboratori. Basti citare Giulio Romano, il vero esecutore di molte sue opere.

500 anni dalla sua morte: dove era la sua grandezza?

Guardate i suoi ritratti e vedrete il suo grande talento: la capacità di recepire dati, di organizzarli nella memoria e di lasciar scaturire, toccando delle setole sulla tela, il carattere e tutte le pulsioni, motivazioni impeti, dolcezze rancori del personaggio che il suo occhio, implacabile indagatore cresciuto in bottega, ha individuato centimetro per centimetro.

Lo stesso capace occhio indagatore che sa ricordare riconoscere con ammirazione con invidia con desiderio e bramosia tutte le linee del Pantheon e della Domus Aurea (probabilmente l’ultimo uomo d’arte che abbia potuto accedervi…), tutta la tecnica dei rivali e dei maestri.

Raffello guarda tutto a costo di far chilometri su chilometri.

In lui si muovono come pargoli di un prolifico grande padre gli sfondi di Piero della Francesca, i tratteggi del Dürer i contorni di Leonardo, i panneggi pieni di carne di Michelangelo.

Non vuole e lo rimostra chiaramente al Papa che Sebastiano o altri dipinga contemporaneamente a lui altre sale, oltre le sue. Evita i confronti, come facevano tutti i grandi per paura giustificatissima del plagio.

Ritarda l’esecuzione del suo ultimo lavoro per aspettar di vedere cosa avrebbe fatto il temuto concorrente Sebastiano Del Piombo.

Per il resto della produzione, questo Disney del Rinascimento sigla produce/firma una montagna di opere timbrate dalla sua bottega. Perché da questo gli vien lustro e denaro a fiumi.

Tanto da permettergli di muoversi da una commissione all’altra, da una curiosità all‘altra e dato che, come si dice, la curiosità è femmina…denaro e tempo questo concedono.

Una ‘fornarina’ dopo l’altra, una modella, la Divina Imperia cortigiana conosciutissima, una delle ‘amanti’ più desiderate e pagate di Roma, che Chigi gli consente (e gli mantiene) di tenere alla Farnesina per non bigiare il lavoro.

Farnesina cantiere ‘divertente giorno e notte’ a cui partecipano con lui lo stesso Agostino Chigi uomo di gusto ed egli stesso

amante della stessa Imperia. Giovannantonio Bazzi di Vercelli, grande talento, esuberante e prodigo in orge di carne e di colore, Baldassarre Peruzzi (che era anche il progettista della magnifica villa) ed Il vigoroso Sebastiano del Piombo altro astro nascente.

Margherita Luti, altra attribuita fidanzata dell’artista era la cosiddetta ‘Fornarina’ da molti identificata con la modella di alcuni quadri, uno appunto così intitolato.

Ma è anche vero che ‘infornare’, ‘fornarina’ e ‘filone’ o baguette che dir si voglia sono ancora oggi termini o meglio epiteti che ben fan capire di che si tratta.

Aggiungi ogni desiderata creatura che fama gloria e oro potevano permettere a questo bel giovane…sempre protetto (viva Chigi…) dai papi che lo sgridavano come veniva sgridato il protagonista amoroso nel Casanova felliniano…

” Attento Raffaello, …birichino”.

Come non invidiarlo… e tra gli invidiosi si contavano a decine artisti più o meno affermati che se fosse morto Raffaello avrebbero certo avuto più gloria e più spazio.

Ed ecco che un venerdì santo quello del 6 Aprile 1520 alle tre di notte (la data di nascita e morte coincidono perché chi scrisse la storia lo volle alfiere e Cristo della Chiesa) Raffello Sanzio da Urbino muore all’età di soli 37 anni.

Chi lo avvelenò? Il piombo… di un’artista? O la malattia che la storia (non quella della Chiesa) incoronò come ‘Francese’?

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