“All’s fair in love and poetry” è l’unica frase che ha accompagnato l’annuncio di “The Tortured Poets Department”, undicesimo album inedito di Taylor Swift. Una foto in bianco e nero che non mostra il viso se non per un leggero sorriso malinconico che si lascia intravedere e alcuni versi in rima. La promozione è sorprendentemente semplice: una serie di post sui canali social dell’artista con fotografie in bianco e nero, poesie che ne raccontavano il cuore spezzato. I fan più devoti hanno sperato in un ritorno del sound degli album rilasciati in pandemia, folklore ed evermore, ma con al centro la fine della relazione tra Swift e l’attore Joe Alwyn, conclusasi inaspettatamente dopo quasi sei anni.
Eppure l’uscita, lo scorso 19 aprile, di The Tortured Poets Department, ha lasciato tutti sorpresi. Le prime 16 canzoni dal sound inaspettatamente synth pop, sulla linea dello scorso progetto (Midnights) e testi che raccontano un’altra storia d’amore. E mentre i fan cercano di decifrare ogni singolo riferimento inserito nei brani per ricostruire la linea del tempo del cuore spezzato di Taylor Swift, lei rilascia altri 15 brani: The Tortured Poets Department: The Anthology. 31 brani e due ore complessive di ascolto, accompagnate da un video musicale per il singolo, inizia ufficialmente l’undicesima era di Taylor Swift.
The Tortured Poets Department e The Anthology: due progetti in uno
The Tortured Poets Department
è un double album, come i “sister albums” del 2020, eppure è distribuito come unica raccolta. A differenza degli scorsi progetti, infatti, non si tratta di una serie di brani legati soprattutto dall’estetica, ma è fortemente autobiografico. Racconta la vita e le emozioni di Taylor Swift nel corso degli ultimi due anni: estremizzate, romanticizzate, ma quasi sempre senza filtri. Tra The Tortured Poets Department e The Anthology c’è innanzitutto una differenza di produzione: il primo è frutto della collaborazione tra Swift e Jack Antonoff (storico produttore suo, di Lana Del Ray e dei the1975); il secondo è interamente prodotto da Aaron Dessner (fondatore dei The National).
The Tortured Poets Department: la sad girl di Taylor Swift
A tenere insieme le due parti è il fil rouge dell’archetipo della “sad girl”, che l’artista esplora come mai fatto prima. Giovane e bella, Swift è diventata tra il 2014 e il 2015 la pop star per eccellenza, incarnando alla perfezione tutte le caratteristiche dell’eterna ragazza (che soffre, sbaglia e sfrutta ogni occasione per migliorarsi) senza diventare mai veramente una donna (matura e sicura di sé). Come racconta lei stessa nel singolo pilota dello scorso album, Antihero, “I have this thing where I get older but just never wiser”.
The tortured poets department, si apre con un ritornello straziante (“I love you, it’s ruining my life”) di Fortnight, intende esplorare proprio questa eterna immaturità che da un lato rende Taylor una delle artiste più empatiche di sempre, ma dall’altro le impedisce di imparare dai propri errori e liberarsi dal bisogno di non stare mai sola. Si sente nel sound ormai “comfort”, si capisce dal suo annuncio compulsivo di versioni deluxe dell’album, collaborazioni e nuove escamotages per creare hype. Non è ancora libera dall’insicurezza che la porta a cercare sempre validazione, in partner narcisisti o classifiche effimere.
I primi 16 brani
The Tortured Poets Department si apre con Fortnight, una collaborazione tra Taylor Swift e Post Malone. Scelto come singolo apripista, il video musicale che lo accompagna vede i due artisti protagonisti di una storia d’amore á-la Normal People ambientata in un presente a tratti gotico.
La struttura è quella classica dell’artista: un brano dai toni struggenti e il sound malinconico (solitamente il quinto, in questo caso So Long, London) a fare da cesura tra serie di canzoni caratterizzate da un synth pop ritmato. Il racconto della relazione fatta di incontri occasionali e felicità instabile ed effimera è dunque riservato a brani come The Tortured Poets Department e My Boy Only Breaks His Favourite Troys, per poi lasciare spazio al racconto del dolore per la perdita di quello che credeva essere “the one” con il quinto brano.
Riprende poi con But Daddy I Love Him – raccontando come quegli incontri occasionali siano diventati tentativi concreti di costruire una relazione seria – fino a loml (“Loss of my life”), nuova cesura che riporta l’ascoltatore nel racconto della fine, della sofferenza. I Can Do It With a Broken Heart – sapiente sinestesia tra il testo sofferto e il ritmo incalzante – viene seguita invece da The Smallest Man Who Ever Lived, l’ultimo brano veramente struggente che rappresenta l’addio ideale dell’artista a quella storia che non è riuscita a far funzionare come avrebbe voluto. Con The Alchemy e Clara Bow, infatti, si conclude la prima parte del progetto e si intravede l’inizio della rinascita di Taylor. L’inizio di una nuova storia, la ripresa della consapevolezza del suo talento e il ritorno della serenità.
The Anthology: la seconda parte
Sorprende quindi The Black Dog, primo brano di The Anthology, che riporta nella storia appena conclusa. Il sound è molto più simile a quello di folklore ed evermore, dove è molto riconoscibile il gusto di Dessner. La struttura di questa seconda parte è completamente diversa: vede un brano ritmato ed intenso contrapposto ad una ballata dai toni melodrammatici. I testi si fanno più complessi, come in The Albatros e Cassandra (un retelling autobiografico del mito narrato nell’Agamennone), le tematiche più varie, come in Chloe or Sam or Sophia or Marcus e thanK you aIMee.
The Tortured Poets Department pecca di ubris
La sensazione, dopo aver ascoltato questi 31 brani, è che The Tortured Poets Department sia un progetto davvero ambizioso. Lo stile è ormai riconoscibile, suo, apprezzato dei fan ma sicuramente non innovativo. Forte del grande successo dei brani from the vault – inediti dei suoi album precedenti che ha rilasciato per accompagnare il re-recording dei suoi progetti passati – oggi Taylor Swift ha preferito rilasciare un progetto con brani lunghi e numerosi invece che fare una scelta, risultando però ripetitiva e pedante.
The Tortured Poets Department manca di una qualità fondamentale per un’artista del calibro di Taylor Swift: la cura. Creare con cura significa limare gli eccessi, scegliere solo il meglio, assicurarsi che ogni brano sia legato da un fil rouge senza rendere la storia troppo ricca di particolari, lasciare spazio alle emozioni che il singolo ascoltatore deve aggiungere ai brani. Davanti a questi 31 brani non si può non giudicare Taylor Swift audace al punto da sorvolare la tracotanza. Più che la cassandra di cui parla, risulta un po’ narcisa, impegnata a guardarsi dentro senza più riuscire a distinguere tra le emozioni vere e i loro riflessi.