Presentata lo scorso ottobre alla Festa del Cinema di Roma e disponibile su Netflix tra i titoli del momento, “Era ora” è una commedia dolceamara che fa riflettere sui sintomi del sovraccarico mentale. Il film, liberamente ispirato alla pellicola australiana “Long Story Short”, è il nuovo lavoro di Alessandro Aronadio, regista di “Orecchie” (2016) e “Io c’è” (2018), titoli grazie ai quali ottenne svariate candidature al Nastro d’argento, prestigioso premio cinematografico. Si tratta di una romantic comedy, genere a cui il pubblico italiano è particolarmente affezionato, che mette in luce, con delicatezza e senza moralismi, tematiche molto attuali tra cui, appunto, lo scorrere inesorabile del tempo e il valore che ognuno di noi dà a ciò che lo circonda nel quotidiano.
Interpretato da un cast assolutamente azzeccato,
“Era ora” narra la storia di Dante (Edoardo Leo), agente assicurativo stacanovista che, diversamente da Bill Murray in “Ricomincio da capo”, film iconico a cui Aronadio strizza l’occhio, si ritrova incastrato in un loop temporale che lo porta a fare grandi balzi avanti nel tempo. Tutto inizia il giorno del suo quarantesimo compleanno, quando Dante, preso dai mille impegni lavorativi e quotidiani, arriva in ritardo alla festa organizzata dalla compagna Alice, illustratrice conosciuta grazie ad un esilarante fraintendimento ed interpretata da un’eccezionale Barbara Ronchi.
Al suo risveglio, il giorno seguente, Dante si ritrova catapultato nell’anno successivo, scoprendo che Alice è incinta e, una volta richiusi gli occhi, nell’anno dopo ancora, fra i pianti di Galadriel, la bimba che lui non ricorda nemmeno di aver visto nascere. Questa dinamica si ripete per varie volte, accompagnata dal ticchettio implacabile di un orologio in grado di compiere repentine accelerazioni e che fa perdere a Dante frammenti decisivi della propria esistenza.
Attraverso lo straniamento e poi la presa di consapevolezza dell’uomo,
Aronadio invita lo spettatore a riflettere sulla propria vita e ad analizzare il proprio rapporto con il tempo. Risulta, infatti, molto facile immedesimarsi nel personaggio interpretato magistralmente da Edoardo Leo, un uomo scritturato in tutta la sua complessità, e che durante questa a tratti drammatica, a tratti comica e spesso commovente avventura ha uno sviluppo profondo. Il protagonista, relazionandosi con il padre anziano, con l’amico Valerio (Mario Sgueglia) e con Alice e la figlia, persone che si allontanano sempre più da lui, si accorge di quanto l’ambizione lavorativa l’avesse letteralmente assorbito.
Dante, infatti, soffre di quello che viene definito dagli esperti come “mental load”, ovvero la condizione di pressione psicologica data da un sovraccarico mentale derivato dalla gestione delle responsabilità e degli impegni lavorativi, familiari e personali. I sintomi di questa situazione, spesso campanelli d’allarme che allertano di un possibile burnout, sono frequentemente sottovalutati in quanto siamo abituati a vivere con l’obiettivo di performare. Perdita di efficienza, senso di sopraffazione, rallentamento nel conseguimento di task, ma anche stanchezza, perdita della libido e mutamenti d’umore: l’impatto del mental load non avviene solamente sulla carriera, ma soprattutto dentro le mura domestiche.
Si tratta di un fenomeno di cui, purtroppo, ancora oggi non si parla abbastanza
e che interessa non solo la totalità degli ambiti lavorativi, ma anche gli ambienti universitari, come testimoniano i recenti episodi di cronaca. Dall’ultimo World Mental Health Report, valutazione dell’attuale situazione della salute mentale a livello globale condotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è, infatti, emerso che, nel mondo, sono 301 milioni le persone che soffrono di disturbi legati all’ansia e 208 milioni a essere affette da depressione, spesso conseguente a situazioni di stress.
Uno dei problemi principali, che la stessa Galadriel lamenta al padre nel film di Aronadio, sta nell’impossibilità di disconnessione. Lo sviluppo tecnologico e la digitalizzazione, così come la “capacità” multitasking ottenuta grazie allo smartphone, ha causato l’effetto contrario a quello sperato: anziché permettere di riappropriarci del nostro tempo, ha reso ancora più labili i confini fra vita professionale e privata, impedendo di godere al massimo i momenti fuori dall’ufficio. Alessandro Aronadio, attraverso l’artificio cinematografico di un prodotto sci-fi, ci mette nella condizione di rivedere la nostra vita e, forse, di rivalutarne davvero le priorità.