Per quale ragione l’essere umano sembra essere particolarmente attratto dalla visione di film horror e/o thriller anche se tale visione provoca traumi? Una domanda che sorge spontanea dopo il picco di visualizzazioni ottenute dai siti internet contenenti approfondimenti riguardanti “L’uomo invisibile”, film dell’orrore uscito al cinema nel 2020 e trasmesso in tv recentemente.
“L’uomo invisibile” è l’ultimo capolavoro di Leigh Whannell,
noto sceneggiatore e produttore della saga che vede protagonista l’enigmista “Saw” ritenuta fra le pietre miliari del genere. La storia è una rielaborazione e interpretazione in chiave moderna del classico letterario di H. G. Wells, che affronta, differentemente dall’originale, attraverso il risvolto fantascientifico dinamiche molto reali e attuali, quali la violenza fisico-psicologica e quella domestica. La trama ruota, infatti, attorno a Cecilia Kass (Elisabeth Moss), intrappolata in una relazione violenta con un eccellente scienziato che, però, è autoritario, possessivo e manipolatore nella vita privata. La donna decide quindi di scappare una volta per tutte dalla situazione di prigionia in cui si trova e rifugiarsi a casa di un amico poliziotto. Psicologicamente debilitata dal presunto suicidio dell’ex compagno, Cecilia risulta agli occhi di amici e famigliari ossessionata da una presenza minacciosa invisibile, che a sua detta è collegata all’uomo violento.
Gli eventi soprannaturali, tanto inquietanti quanto inspiegabili, non permettono allo spettatore (così come agli altri personaggi del film) di empatizzare con la vittima, fino a quando, in un crescendo di suspense e terrore, viene rivelata una più ragionevole spiegazione: Adrian, l’ex compagno e grande scienziato, ha inventato una tuta che gli permette di rendersi invisibile al mondo e tormentare la donna, tanto da portarla sull’orlo del crollo mentale. Tale elemento è fondamentale, poiché dando una risposta fantascientifica al pubblico, lo sceneggiatore fornisce contemporaneamente la conferma che tutto ciò che si sta guardando è finzione.
Ecco che allora comincia a prendere forma una motivazione plausibile,
oltre al lecito intrattenimento, della scelta e del piacere di guardare un film horror, spiegazione che affonda le proprie radici non solo nella psicologia, ma anche nella fisiologia dell’essere umano. In merito, psicologi e neuropsichiatri hanno condotto numerosi studi, tutti sviluppati sull’analisi delle reazioni del corpo umano e l’esposizione alla paura. La risposta automatica, secondo gli esperti, può essere di due tipi: quella della preparazione alla lotta o la fuga. Entrambe le reazioni sono guidate da quello che in medicina è chiamato sistema nervoso simpatico, ovvero l’insieme di neuroni che dalla colonna vertebrale si dirama proseguendo per tutto il corpo.
In seguito alla percezione di un pericolo, il sistema nervoso simpatico innesca alcune reazioni involontarie, fondamentali per rispondere e affrontare la minaccia, come un aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna in modo tale da inviare più sangue ai muscoli, oppure la minzione involontaria, stimolo mirato a liberare l’organismo da liquidi superflui e agevolare la fuga. Quando, invece, il pericolo non esiste più o ci si rende conto non essere reale, il sistema nervoso simpatico lascia il posto a quello parasimpatico che permette principalmente il rilassamento fisiologico dell’organismo che è anche stesso che invia lo stimolo generante l’eccitazione.
Secondo Dolf Zillmann, decano emerito e professore di scienze dell’informazione, comunicazione e psicologia all’Università dell’Alabama, la paura che scaturisce da una situazione di spavento, come quella innescata da un film horror, intensifica le emozioni positive derivanti dal rilascio di dopamina, neurotrasmettitore che invia lo stimolo di rilassamento fisiologico del cervello generando benessere. La visione di film horror o thriller, dunque, rientra nelle situazioni di esposizione alla paura di tipo controllato, che possono potenzialmente venire sfruttate come terapia per la cura di traumi e fobie.
I film che ci terrorizzano potrebbero, infatti, migliorare la nostra risposta alle paure,
così come a situazioni di ansia e di stress. In seguito a numerosi ed approfonditi esami, numerosi ricercatori hanno rilevato l’efficacia dell’esposizione controllata all’interno della terapia per disturbi d’ansia, tra cui disturbo da stress post traumatico e disturbi di tipo ossessivo-compulsivo. Si tratta di rieducare l’amigdala, il centro del cervello che gestisce le emozioni, fra cui la paura, attraverso un processo di attivazione mediante l’esposizione all’oggetto o alla situazione che genera la fobia.
La produttività benefica di un’esperienza di paura controllata
come quella studiata dai ricercatori è tale in quanto svolta in ambiente protetto. Il meccanismo del terrore, come quello per esempio di sottoporre un soggetto tripanofobico ad una seduta di agopuntura attraverso la realtà aumentata, si innesca sotto l’occhio vigile del medico, in situazioni che possono essere terminate all’occorrenza. L’utilizzo terapeutico dei film come “L’uomo invisibile” potrebbe, dunque, agire in modo simile: gli appassionati di film horror sono per l’appunto attratti dalle forti sensazioni durante e dopo la visione, in quanto aiutano a generare un senso di predominio o controllo sulle paure stesse. L’efficacia dell’esposizione a tale paura è data innanzitutto dalla consapevolezza della natura fittizia della minaccia e, in secondo luogo, dalla sicurezza dell’ambiente in cui avviene questa visione: un luogo protetto come il salotto di casa o una sala cinematografica gremita di “compagni” con cui condividere l’esperienza.