Basta un semplice riff di violino per poter cambiare per sempre la storia della musica pop italiana, portandola in una dimensione d’autore, colta, surreale, insuperabile. Lucio Dalla, oggi avrebbe compiuto 80 anni, – il nostro ricordo in questo articolo – e questo lo sapeva bene. O forse no. Fatto sta che da quella partecipazione al Festival di Sanremo 1971 con “4 marzo 1943”, brano che segna proprio la sua data di nascita, niente sarà più lo stesso. L’Italia si cullerà del reale istrionismo di un genio della canzone, in grado di saper unire lo sporco e l’aulico, il cantautorato con le espressioni più liriche, il jazz e la musica popolare, l’ironia con la più solenne profondità. Un genio visionario, scomparso nel 2012, e che manca ancora oggi come l’aria.
Un inizio di carriera a tinte jazz
Nato a Bologna, il piccolo Lucio si accorgerà fin da subito dell’esistenza della morte. Soltanto nel 1950, – a soli sette anni -, il padre Giuseppe viene a mancare a causa di un tumore, fattore che porterà la madre a iscriverlo presso il Collegio Vescovile pio X di Treviso, dove conoscerà in un colpo solo sia il senso della solitudine che la potenza del palcoscenico, esibendosi nelle recite scolastiche.
Tornato nel capoluogo emiliano da adolescente, negli anni Cinquanta, Lucio si innamora della musica jazz, complice anche un clarinetto regalatogli da Walter Fantuzzi, conoscente della madre: sarà amore a prima vista. Il musicista infatti, da assoluto autodidatta, impara in fretta a maneggiare lo strumento, iniziando a suonare in diverse jam session e live con la Rheno Dixieland Band. Sarà proprio in questo periodo che il musicista conoscerà la leggenda del genere: il trombettista Chet Baker.
Le prime canzoni e i Flippers
Ma il talento già emerso in Lucio Dalla non era ancora espresso. Il bolognese infatti, nei primissimi anni Sessanta, si immerge con dovuta calma all’interno delle canzoni, componendo versi che poi si riveleranno molto esemplificativi del suo stile, come “Il prode invertito” e “Avevo un cane… adesso non ce l’ho più”. Il primo scossone alla carriera di Lucio risale al 1962, quando viene ingaggiato nel gruppo dei Flippers. L’artista si aggiunge a un complesso già formato dando il proprio contributo come voce solista suonando inoltre il sax e il clarinetto. Durante le performance il cantante si lancerà anche nei primi scat tipici del jazz, caratteristica che diventerà poi uno dei suoi tratti distintivi della sua estetica musicale.
L’alchimia tra Dalla la band era ottima, rappresentata anche dalla partecipazione al Cantagiro del 1963 segnata dall’iconica “I Watussi” con Edoardo Vianello. Eppure, esattamente nel contesto della gara, un lungimirante Gino Paoli, stregato dall’artisticità di Lucio, spingerà l’artista a intraprendere una carriera da solista, fattore che irritò tantissimo i Flippers, i quali accusarono Paoli di avergli letteralmente “scippato” il musicista.
80 anni di Lucio Dalla, il ricordo: l’inizio traumatico della carriera solista e il successo
L’esordio da solista di Lucio Dalla è datato 1964, anno della pubblicazione del primo 45 giri “Lei non è per me”, canzone che verrà proposta nuovamente al Cantagiro. Ma le cose non andranno come pianificate. L’approccio del cantante da solista infatti indigna il pubblico che, in tutta risposta, detesta l’emiliano lanciando pomodori e ortaggi di ogni tipo sul palco. Malgrado il fiasco Lucio però non si perde d’animo, forma una band d’accompagnamento, “Gli Idoli”, incidendo il primo album, intitolato “1999” presentandosi per ben due volte al Festival di Sanremo, prima con “Puff…bum”, divenuta la sua piccola primissima hit, e poi con “Bisogna saper perdere” nel 1967. Si tratta del preludio prima della vera e propria esplosione.
Sempre dal palco di Sanremo Dalla propone infatti nel 1971 la storica “4 marzo 1943”, pezzo che racconta la storia di una madre che concepisce un figlio in tempo di guerra con un soldato alleato. Una canzone di struggente bellezza che apre le porte del successo al musicista, il quale spopolerà prima con il disco “Storie di casa mia” per poi trionfare nelle vendite con un altro masterpiece del suo repertorio “Piazza grande”, canzone dedicata ai senzatetto non di Piazza Maggiore come in molti pensano bensì alla più ristretta Piazza Cavour bolognese. Il testo, scritto insieme a Sergio Bardotti, rimane ancora oggi una delle pietre miliari della nostra musica.
L’evoluzione della musica d’autore: com’è profondo il mare
Il rapporto con Bardotti cessa però quasi subito. Lucio, infatti, per ben quattro anni stringe una collaborazione con un artista di alto profilo, Sergio Roversi, con cui inaugurerà in modo indelebile un’evoluzione significativa della musica italiana d’autore, passando da sperimentazioni eccentriche a passaggi complessi e di non facile lettura. Ma anche la partnership tra i due si romperà a causa di visioni diverse. Per il collaboratore era necessario utilizzare ancora un tipo di linguaggio politico, per il cantautore era invece necessario allargare gli orizzonti e riabbracciare il pubblico. Non sarà un addio facile, anzi; la situazione creatasi spinge Lucio a isolarsi. Non a caso per preparare la sua nuova opera decide di trasferirsi in solitudine alle Isole Tremiti senza l’aiuto di nessuno: solo lui, i suoi strumenti, i suoi fogli, le sue penne, la sua anima.
Il risultato sarà a dir poco clamoroso. Nel 1977 infatti esce “Com’è profondo il mare”, la cui canzone omonima, ancora oggi famosissima, prende di mira con sagacia e forza il concetto di potere diventando manifesto della libertà di pensiero. Nello stesso disco è contenuta inoltre l’iconica “Disperato erotico stomp”, gioiellino diventato famoso per uno dei versi più importanti della carriera del cantautore bolognese: “L’impresa eccezionale è essere normale”. L’accoglienza fu divisiva, tra tante lodi, in tanti notarono in Lucio una virata eccessivamente commerciale. In realtà Dalla aveva soltanto inglobato la lezione di Roversi, elevando il concetto di canzone popolare a qualcosa di più aulico.
La carriera inarrestabile: “Caruso” e la morte
Il successo, con buona pace dei contestatori, diventa dunque inarrestabile. Seguiranno infatti il disco omonimo, con dentro svariati brani di successo (tra tutti “Anna e Marco”), la prima collaborazione con Francesco De Gregori, l’album dalle sfumature rock intitolato semplicemente “Dalla”, l’amicizia con Gaetano Currieri e la relativa formazione degli Stadio fino ad arrivare al capolavoro dei capolavori, “Caruso”. Il pezzo, scritto nel 1986, consegnerà Lucio al successo internazionale, catturando il cuore degli ascoltatori con strofe serrate e il ritornello lirico, ampio, cantabile in lingua partenopea che tutti conosciamo.
Difficile, anzi, praticamente impossibile elencare poi tutti gli altri trionfi di Lucio fino alla sua morte inaspettata avvenuta il 1 marzo 2012 pochi giorni dopo la sua partecipazione al Festival di Sanremo con il brano “Nanì” cantato insieme a Pier Davide Carone. Ma dell’artisticità del cantautore è necessario rimarcare la sua visione di vita e la capacità innata di saper scrivere non canzoni, bensì veri e propri film musicali. Ogni verso, ogni parola, ogni frammento scritto dalla penna di Lucio riporta a un immaginario ben definito, collegandosi immediatamente alla mente del pubblico, come una magia. Aspetto raro di questi tempi e, oggi, Lucio Dalla, ci manca maledettamente.
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