Dopo anni di crescita costante ed esponenziale, Shein registra un calo nelle vendite in sei degli ultimi sette mesi dell’anno, il fatturato del marchio fast fashion cinese è a rischio?
Shein ferma la sua corsa
Nel periodo tra il 2019 e il 2021, il colosso cinese ha quadruplicato il suo fatturato arrivando al record di 100 miliardi di dollari nella scorsa primavera. Un e-commerce semi sconosciuto si è imposto velocemente nel settore, arrivando ad essere tra le tre app di shopping più scaricate negli Stati Uniti, in competizione con una solida realtà come Amazon. Ora però un primo calo dei numeri accende i riflettori e invita a porci una domanda: il fast fashion sta andando in crisi?
Benché l’espressione fast fashion circoli ormai da anni, precisamente dal 1989 quando venne coniata da una giornalista del New York Times per raccontare due nuove aperture sulla Lexington Avenue, è solo negli ultimi anni che ha assunto un’accezione negativa. Dopo anni in cui Zara, H&M e Primark, dominavano nel settore, l’ascesa di Shein ha portato all’estremo i tratti di questo modello di business. Collezioni veloci vendute a prezzi irrisori, propongono capi e stili che accontentano ogni fisicità ed estetica andando di pari passo con le frenetiche tendenze che spopolano su social. In questo modo contribuiscono implicitamente a diffondere la cultura dell’usa e getta. L’altra faccia della medaglia è ovviamente l’impatto ambientale, con l’industria della moda che produce anidride carbonica pari al 10% di tutte le emissioni globali. Esperti e consumatori più sensibili alle tematiche, puntano il dito su chi ha costruito un impero su questo modello, Shein in particolare.
Il modus operandi di Shein
Fondato nel 2008 da Chris Xu, con sede a Guangzhou nella zona produttiva vicino al fiume Pearl, Shein mantiene intorno a sé un’aura di mistero. Quel che sappiamo è che la produzione si appoggia a una rete di piccole fabbriche partner, una scelta che aiuta anche a dividere la responsabilità di eventuali cause dove lavorano per lo più immigrati che raggiungono i centri produttivi per periodi limitati. Il processo di produzione si basa su un software di intelligenza artificiale che combina internet e i social media, permettendo così di restare al passo con le richieste del settore e immettere circa sei mila nuovi capi al giorno nell’e-commerce. Oltre i prezzi ridotti, l’applicazione segue una strategia fatta di sconti e premi, che invita il cliente a tornare ed essere attore di questo prodotto di gamification della moda.
Eppure, nonostante la popolarità e i numeri, tra il 2020 e il 2023, il 70% delle conversazioni complessive Shein su internet avevano un sentimento negativo. Quello che spesso viene recriminata è la scarsa qualità dei prodotti, la loro ridotta durata, ma soprattutto le scarse condizioni dei lavoratori delle fabbriche utilizzate. A puntare l’attenzione sulla tematica un rapporto di un gruppo di controllo svizzero che ha esaminato le condizioni di lavoro dei dipendenti.
Stabili senza uscite di emergenza e con le finestre sbarrate, lavoratori costretti in turni massacranti da 75 ore settimanali (contro le 40 legali) con un solo giorno libero al mese e soprattutto pagati con tariffa a pezzo. Viene scoperchiato così un vaso che nasconde numerose violazioni delle leggi cinesi sul lavoro. Shein, in virtù del fatto che assegna la produzione a terzi e quindi non è diretta responsabile delle condizioni dei lavoratori, risponde annunciando provvedimenti contro i partner fuori legge. Ulteriore aspetto le denunce portate avanti dai designer emergenti, che accusano il brand di aver copiato numerose delle creazioni proposte e che hanno portato ad almeno venticinque azioni legali mosse contro Shein.
Riabilitare l’immagine compromessa
Davanti a tali accuse su diversi fronti, il marchio cinese risponde portando avanti varie iniziative che puntano a riabilitare la sua immagine. Il programma di supporto ai talenti emergenti (Shein X) mette in palio una sfilata a Los Angeles. Iniziative green grazie all’utilizzo di materiali riciclati e la nomina di un responsabile alla sostenibilità, (Adam Whinston) sono strategie che perseguono il difficile compito, – a tratti irrealizzabile -, di realizzare quantità, prezzi ridotti, mantenere condizioni dei lavoratori adeguate e ridotto impatto sull’ambiente.
Nonostante il sentimento negativo, il fast fashion continua a portare a casa risultati. Inditex, capeggiata da Zara, vede un aumento di ricavi nel 2022. H&M, nonostante il drastico calo in borsa nell’ultimo quadrimestre dell’anno appena chiuso, continua a registrare un fatturato in crescita. La vera sfida del settore è quella di riuscire a creare un’equilibro tra queste realtà che appaiono ormai consolidate, radicate nell’abitudini d’acquisto, e una maggiore attenzione verso i lavoratori e l’ambiente.
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