Chi non ha mai sentito parlare di patti con il diavolo? Di Satana in persona, dei suoi favori e dei suoi scambi con gli umani ne sono piene le fiabe e le orazioni, ma anche la letteratura alta. I racconti orali infatti hanno sempre tramandato queste storie dai toni cupi, poste oramai al solco fra folklore e religione, e grandi scrittori come Marlowe, Goethe e Mann le hanno sviluppate trasformandole in grandi classici della letteratura. Però con l’avvento del ventunesimo secolo, periodo nutrito di media e scienza, Lucifero è passato in secondo piano nella cultura popolare. è scomparso quasi ovunque, tranne che in un’industria: quella della musica. Ne è la prova la storia del Club 27, una leggenda metropolitana che vede le morti improvvise di immensi cantanti e musicisti dovute alla conclusione di un patto con il Maligno.
Il numero è associato alla giovane età di tutte le personalità decedute in circostanze di mistero, anche se nella realtà sono spesso state vittime di alcolismo o abuso di sostanze. All’interno di questo esclusivo “circolo” sono presenti oltre 20 nomi, come ad esempio Amy Winehouse, Kurt Cobain e Janis Joplin.
La storia del Club 27: l’inizio
Le origini di questa leggenda si devono però ricercare a inizio Novecento in America, precisamente nella figura di Robert Jhonson. Eclettico chitarrista di blues, era noto per essere diventato un genio musicale dopo oltre un anno di assenza. Questo miglioramento fu ritenuto sospetto in quanto l’uomo non aveva mai manifestato una inclinazione artistica ed era anzi deriso per questa sua velleità. Questi fattori portarono alla credenza che la causa potesse essere solo soprannaturale. Di notte ad un trivio scambiò la propria anima e una manciata di anni di ottima musica con un talento fuori dal comune.
Si dice che fu trovato morto in circostanze misteriose: le fonti però probabilmente riportano un possibile avvelenamento. Pare infatti che l’uomo abbia trascorso l’ultima serata in un locale, dove doveva esibirsi. Il gestore però, consapevole del fatto che lui avesse una relazione con la moglie, gli versò del veleno nella bottiglia, portandolo prima ad uno stato confusionale e poi alla morte. Su questi avvenimenti sono state fatte varie speculazioni ed è stato anche tratto un interessante documentario, Devil at the Crossroads, presente su Netflix. In appena poche puntate si può avere un quadro più completo sulla sua fumosa biografia, corredandole con le testimonianze dei discendenti.
La leggenda metropolitana dei giorni nostri
La stessa rovinosa sorte è toccata Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrinson, Kurt Kobain e Amy Winehouse. In comune questi artisti hanno un’infanzia infelice e una vita tormentata, segnata dai traumi famigliari e da background ostili che non sono riusciti a superare. Questi sono solo gli esempi più famosi, ma l’elenco si estende ed esce anche fuori dal mondo americano e anglosassone. Tutti questi cantautori dalle esistenze tormentate sono però accomunati da un altro comune denominatore: le influenze blues. Infatti fin dalla sua nascita questa musica, appartenente alla comunità nera, fu vista di cattivo occhio sia dalla religione che dagli schiavisti che oltre ad essere razzisti, individuavano in essa una carica sovversiva. Il suo ritmo lento, variabile e sinuoso non poteva che rappresentare un peccato. Però nessuno delle due autorità, come spesso accade, è riuscita ad eradicare i contenuti licenziosi e le sonorità impudiche di questo genere.
Fra l’essere apprezzato e l’essere allontanato, ha però continuato il proprio corso. I bluesman vivevano infatti delle vite al limite pur di inseguire la propria passione, trasmettendo questa esperienza all’interno dei propri testi. Amori illeciti, attività illegali e la sensazione di essere dei reietti permeano quindi gran parte dei loro testi. Nonostante le criticità che si sono poste lungo il percorso, Il blues ha però continuato il proprio cammino, arrivando poi molto dopo a dare vita al rock, altrettanto contestato. Anche questo al giorno d’oggi, nelle sue differenti sottocategorie, è etichettato come musica del diavolo. Probabilmente tutto ciò è dovuto alle sue sonorità dure, al desiderio anti-enstablishment espresso all’interno delle canzoni e all’estetica che alcuni artisti trasmettono sul palco e nei propri videoclip.
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