Con la solenne cerimonia di inaugurazione della Fifa World Cup 2022, tenutasi ieri, 20 Novembre, nel gigantesco e suggestivo stadio Al-Bayt di Doha, il mondo intero ha finalmente iniziato a guardare con occhi diversi il Qatar, paese del Medioriente dove tradizione e cultura si fondono, con un sottotesto religioso molto profondo radicato da secoli. La nazione mediorientale rimarrà al centro delle cronache per le prossime tre settimane, fino a quando le delegazioni dei vari paesi saranno presenti per conquistarsi l’ambita Coppa del Mondo di calcio.
La storia del Qatar
Il paese nasce relativamente di recente. Dopo secoli di dominazione ottomana, la nazione proclamò la sua unificazione il 18 dicembre 1878, sotto il dominio dello sceicco Jassim bin Mohammed Al Thani, considerato da molti storici il suo vero fondatore. Un altro momento chiave della sua storia fu il 3 settembre 1971, giorno dell’Indipendenza dell’emirato dai britannici. Un’identità, quella qatariota, talmente forte da aver permesso allo stato di non diventare parte dell’Arabia Saudita.
Il petrolio, risorsa preziosa
Come molti degli stati che lo circondano, il Qatar ha la fortuna di possedere delle ingenti risorse petrolifere, diventati fonte di enorme ricchezza per un luogo che, considerata la sua posizione geografica, non può affidarsi all’agricoltura a causa del terreno e del clima desertico. I primi giacimenti nel paese vennero scoperti negli anni ’40 del 1900, mentre ci volle circa un decennio prima che il greggio venisse effettivamente commercializzato a livello internazionale. A partire dagli anni ’70 lo stato entrò a far parte dell’organizzazione OPEC, accogliendo in parallelo la Qatar General Petroleum Corporation, un particolare ente dedicato al controllo delle risorse petrolifere, che in precedenza erano state gestite da compagnie occidentali.
Una cultura profondamente religiosa
Proprio come molti altri paesi vicini (è il caso del Kuwait, ma ovviamente anche dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti) la cultura qatariota è indissolubilmente legata all’Islam. La legge coranica, contrariamente all’Arabia Saudita, è qui tuttavia meno restrittiva: per esempio, è consentito l’utilizzo di bevande alcoliche e alle donne è concesso guidare senza restrizioni di sorta.
La cultura di questo paese trae le sue origini da quella beduina, popolazione nomade del deserto del Sahara, ed è profondamente influenzata dalla setta Wahabbi dell’Islam. Il wahabbismo è un movimento spesso considerato ultraconservatore, austero e arcaico: si tratta infatti una corrente specifica che con i suoi precetti punta ad un ritorno dei fondamenti originari dell’Islam e al suo estremo rigore. Nonostante ciò, i viaggiatori in Qatar (e in questi giorni i tifosi delle varie nazionali) si renderanno di certo conto che in questo paese la maggior parte della popolazione non osserva certi (fin troppo rigidi) dogmi islamici. In questo luogo l’integralismo dell’Islam sembra in realtà del tutto assente.
Lo stile qatariota
Si ritrovano nel modo di vestirsi della popolazione dell’emirato alcuni dei tratti beduini tipici, con i loro tessuti e le loro suggestive decorazioni. Gran parte degli abiti degli uomini e delle donne presentano affascinanti ricami in oro e in argento e appaiono, proprio per questo, riconoscibili più degli outfit sfoggiati da altre popolazioni arabe. Gli uomini, di norma, indossano una lunga camicia bianca (chiamata thobe) accompagnata da ampi pantaloni dello stesso colore: a tutti è richiesto di coprire il capo con un velo (il gutra) fissato alla testa con una corda nera (agal). Le donne, al contrario, sono obbligate per legge ad indossare il velo dall’età di sette anni. Quando diventano adolescenti, al velo vengono aggiunti un lungo vestito nero (al-darraa) e una maschera nera (al-battoulah): in questo modo solo bocca, naso e occhi restano scoperti.
Le luci e le ombre del Campionato del Mondo
Il Qatar, come molti altri paesi arabi, ha una posizione molto scomoda su molti dei diritti umani fondamentali. La comunità LGBT non è bene accolta, visto e considerato che qui l’omossessualità è un reato che può costare il carcere. Si è inoltre di recente parlato dell’altissimo numero di morti sul lavoro per costruire i sei enormi stadi che accoglieranno la coppa del Mondo: dal 2010 al 2019, sono deceduti almeno 6.500 lavorati immigrati da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. Per non parlare, ovviamente, del peso praticamente nullo che le donne hanno all’interno della società. Cercando di giustificarsi, il presidente della Fifa Gianni Infantino ha dichiarato:
“Oggi ho sentimenti molto forti. Oggi mi sento qatariota, mi sento arabo, mi sento africano, mi sento gay, mi sento disabile, mi sento un lavoratore migrante”.
Basteranno queste parole e la World Cup 2022 a ripulire la reputazione della nazione?
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