Non è facile raccontare la storia di un poeta come Giacomo Leopardi, così come non è semplice sintetizzare in poche parole la complessità del suo pensiero e una vita vissuta con la consapevolezza della sua fugacità. Il filosofo di Recanati è considerato dai critici il primo esistenzialista della storia, perché all’interno dei suoi scritti ha riflettuto su ogni aspetto della realtà e sull’uomo, destinato al dolore e alla morte. Eppure, non è vero (come si è abituati a studiare a scuola) che Leopardi fosse pessimista. Essere esistenzialisti significa riflettere su ogni aspetto della vita, perfino su quello che comunemente ci spaventa; accettare i nostri limiti e, purtroppo, anche la crudeltà della natura. Grande poeta dell’Ottocento italiano e importante figura del romanticismo e della letteratura mondiale le sue opere sono profonde riflessioni sul senso dell’esistenza umana.

L’amore per la conoscenza del poeta di Recanati

Leopardi nacque in un paesino delle Marche; il primo di tre fratelli. La sua famiglia aveva sin da subito compreso quanto fosse intelligente, -soprattutto il padre-, il Conte Monaldo. Era una persona estremamente colta e aveva collezionato rari volumi, appartenenti alla letteratura greca e latina, donandone buona parte alla cittadinanza e costituendo la prima e più antica biblioteca cittadina. La villa in cui è nato e cresciuto era gremita di volumi e, sin da quando era bambino, adorava trascorrere il tempo tra i libri, imparando perfettamente le lingue antiche e moderne, e sviluppando un grande amore per la filologia e l’astronomia.

storia poeta Giacomo Leopard Life&People MagazineSi racconta che sua madre, Adelaide Antici, – di cui la storia ci ha restituito un ritratto poco lusinghiero – quando Giacomo aveva da poco compiuto dodici anni, abbia venduto i gioielli di famiglia per consentirgli di pubblicare le sue primissime opere letterarie, tra cui un opuscolo di astronomia. Leopardi aveva sviluppato un amore intramontabile per il sapere, per la conoscenza, per la letteratura e, attraverso quello “studio matto e disperatissimo” di cui parlerà numerose volte nei suoi scritti, trovava il modo per sfuggire alla realtà soffocante di Recanati e perfino alla grave malattia che lo colpì sin dalla più tenera età, provocandogli disturbi urinari, gracilità, deformazioni fisiche, complicanze cardiopolmonari e problemi alla vista.

“O natura, o natura, perché non prometti poi quel che prometti allor?”

Questo suo raro morbo l’ha spinto a domandarsi il perché la vita umana sia “accompagnata da tanto dolore“, a ritenere che la natura non fosse amica ma una matrigna crudele, incurante delle sofferenze e del dolore dell’uomo. Al riguardo, Giacomo Leopardi, in una delle sue poesie più celebri, racconta di Teresa Fattorini, una ragazza che lui non conosceva personalmente, ma che spesso osservava dalla sua finestra, mentre lei era intenta a tessere e a cantare. Era nel pieno della sua giovinezza, quando morì di tubercolosi, ricorda i suoi occhi “ridenti e fuggitivi” nel componimento “A Silvia”. La rende emblema dell’adolescenza e della bellezza di quel periodo della vita in cui si guarda con tanta speranza al futuro.

camera giacomo leopardi Life&People Magazine LifeandPeople.itIn questo bellissimo componimento, si scaglia contro la natura e descrive la sua inaudita crudeltà, la sua totale indifferenza. Le domanda il perché l’abbia strappata alla vita, le abbia impedito di vivere il suo primo amore e tante altre esperienze che rendono meravigliosa e piena la nostra vita. In questi e altri versi, Leopardi racconta la tragedia dell’uomo: essere destinato a vivere per poco tempo sulla terra, senza essere mai pienamente padrone del proprio destino. Non dirà mai, come Orazio, di cogliere l’attimo o, come Seneca, che il tempo destinato all’uomo è sufficiente. Racconterà, come nessuno ha mai fatto, e con versi sublimi, che perfino quell’attimo che ci è stato concesso (che è la vita) non ci appartiene davvero.

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La soluzione è nella solidarietà dell’uomo

Adesso arriviamo alla parte più importante del pensiero leopardiano e cioè agli ultimi giorni della sua vita, quando a Napoli viveva con Antonio Ranieri, suo grande amico. Nella parte finale de “La ginestra”, il componimento con cui si chiudono “I Canti”, il poeta sprona il lettore a non arrendersi. C’è una speranza, una sola speranza per l’essere umano, ed è affidarsi all’altro, affrontare insieme a lui l’ostilità della natura e la crudeltà del destino. Lo comprende quando finalmente esce dall’isolazionismo di Recanati e si reca a Roma. Vi trova un ambiente ostile, freddo, caratterizzato dalla totale indifferenza, come scriverà all’età di vent’anni nello “Zibaldone”, la sua raccolta di pensieri e riflessioni:

“si superano tutti i riguardi, l’uno toglie la preda dalla bocca e dalle unghie dell’altro; gl’individui di quella che si chiama società, sono ciascuno in guerra […] aperta con ciascun altro, e con tutti insieme. Dell’altro non importa ad alcuno”. 

biblioteca patrimonio librario casa leopardi porto recanati Life&People Magazine LifeandPeople.itFu a Napoli che il 14 giugno del ’37 morì all’età di trentotto anni, ma con la consapevolezza di aver trovato finalmente un ambiente sereno e adatto alla sua indole. La capitale campana, insieme a Firenze, sarà la sua vera casa e Leopardi comprenderà che la solidarietà tra gli uomini è l’antidoto alle sofferenze e alla tragedia della vita. Un insegnamento prezioso di uno dei più grandi poeti del mondo.

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