«Ti amo» disse il cibo alla moda. «Anche io» lei rispose. Potrebbe sembrare paradossale il rapporto che lega il cibo e moda, due mondi che superficialmente appaiono distanti. Il primo dovrebbe farsi scherno dell’altro, immaginandolo immerso nella perenne ossessione nei confronti della linea. «Voglio un abito tanto stretto da non poter mangiare neanche un oliva».
La moda per contro dovrebbe pensare al mondo del food con orrore
Grassi, carboidrati, corpi rotondi e fisicità lontane dalla maniacale im-perfezione che viene imposta alla silhouette in questo tempo. Eppure, queste due realtà, cibo e moda nella storia degli ultimi cento anni hanno trovato dei punti di accordo: speculari e utilitaristici scambi che hanno fatto comodo a entrambi. Galà del cinema, incontri formali, nozze reali e rendez-vous di ogni genere. Sono alcuni esempi della “scintilla” che ha alimentato la corrispondenza tra sofisticati pranzi concepiti per quasi sempre sofisticati ospiti.

Elsa Schiaparelli
La ricerca estetica, un punto di contatto tra cibo e moda
Nel tempo, l’accuratezza nella presentazione delle pietanze è stata connotata da una significativa ricerca estetica. Ricerca segnata da porzioni sempre più ridotte, che fanno molto chic. Questo particolare ha sedotto, avvincendolo, il mondo della moda. In molti abbiamo apprezzato e appreso l’arte della mise en place.
La sistemazione e la decorazione del cibo viene reso appetibile dando piacere agli occhi prima che alla bocca. Così spesso si è scelto inverosimilmente di rinunciare all’appagamento della gola in favore del lusso estetico del piatto. Il risultato è che questo ha perso l’antico compito nutrizionale diventando più simile a una mannequin taglia trentasei che in passerella ostenta un abito da sera. Non è un caso, purtroppo, l’involuzione del rapporto tra alimentazione ed estetica del corpo, che negli ultimi anni ha assunto dimensioni preoccupanti.
Tale situazione ha portato il governo francese a interdire alle modelle troppo magre l’accesso alle passerelle. Inoltre, le foto ritoccate digitalmente devono essere etichettate in modo tale che si capisca quando un fisico è stato modificato. Sempre più persone hanno un rapporto conflittuale con il cibo, ingrassante eppure irresistibile, per questo desiderato al punto da divenire esso stesso un abito. Già negli anni ’20, ma anche prima in realtà, il mondo scoprì quanto un casco di banane – frutto esotico e alla moda in quel periodo – potesse rivelarsi erotico.
Era sufficiente spostarlo dal banco di frutta sul bacino della ballerina Josephine Baker
La banana, simbolo fallico per eccellenza, danzava insieme al corpo snodato di Josephine su un ritmo tribale, folle, nuovo ed eccitante, segnando un’epoca. Questo strano rapporto d’amore tra vivanda e vestito non era più tenuto nascosto. Dalle stoffe è man mano emersa una varietà di pietanze. Prima un trompe-l’oeil di stampe e ricami, per giungere poi in casi estremi a veri e propri alimenti utilizzati in sostituzione del tessuto stesso. Pesci, crostacei, ciliegie, angurie e ananas, fragoline e limoni, maccheroni patatine e hamburger tra gli altri. Tutti questi sono divenuti nel tempo straordinari elementi decorativi per abiti da giorno ma anche da gran sera.

Josephine Baker
Storia del rapporto tra cibo e moda
Era il 1937 quando il genio di Salvador Dalí – in collaborazione con Elsa Schiaparelli –realizzò un abito che resta un’opera d’arte. Su un candido tulle di seta dipinse una grande aragosta, disposta in obliquo sulla lunga gonna, sistemata tra un ciuffo di verdissimo prezzemolo. L’effetto fu sconvolgente: un abito da sera con un’aragosta, avanguardia pura, Wallis Simpson acquistò il vestito. Giunse la guerra, nessuna aragosta nei piatti, figuriamoci sui vestiti.
Così anguille, topi, conigli, tra gli altri, sostituirono la pelle di serpente e il manto delle eleganti pellicce. L’intreccio di carte di caramelle poi sopperì in modo cool e insolito alla mancanza delle cinture per i pantaloni. Da una parte negli anni ’40 Carmen Miranda, con le sue straordinarie acconciature, anticipò certe tendenze riprese da Dolce & Gabbana negli ultimi anni, presentandosi tuttavia come un caso isolato. Dall’altra, la fine del conflitto e il ritrovato benessere riportarono frutta e agrumi sui vestiti, sui cappelli, sui gioielli, contribuendo alla definizione di un nuovo concetto di romantica femminilità.
Givenchy nella primavera del 1953 creò un abito di alta moda con avveniristiche,
fresche e pop stampe di limoni finendo subito sulla copertina di Elle France. Le ciliegie divennero il simbolo per quella generazione di Pin-Up giungendo intatto nel suo richiamo segnico sino ad oggi.

Andrè Perugia
Andrè Perugia nel 1955 fece di un pesce una calzatura di lusso, anticipando di decadi le altrettanto animalesche Armadillo firmate McQueen.
Questo surplus alimentare, questo smodato consumo usa e getta, insieme alla vertiginosa produzione di cibo industriale, pratico, veloce, colorato, seriale, in tutto simile al nuovo prêt-à-porter, catturò ancora una volta l’attenzione del mondo dell’arte e Andy Warhol nel 1966-67 concepì il souper dress, una serie di abiti dalla linea a trapezio con fantasia all-over di scatole di economica zuppa.
Poco dopo, era il 1970, lo stilista appassionato di botanica Ken Scott, realizzò magnifici abiti utilizzando colorate verdure come pattern. Sulle sue creazioni ai fiori si sostituirono lattughe e verdissimi piselli.
Cibo e moda ai nostri giorni
La crescente globalizzazione ha per certi versi rilanciato l’identità culturale delle singole nazioni specie in Italia. Ciò ha lasciato emergere nella spring summer 2017 di Dolce & Gabbana, della straordinarie stampe di spaghetti lungo vestiti dal sapore retrò. Sempre nel 2017, Bertrand Guyon, creative director della rinata maison Schiapparelli, ha riproposto l’abito con l’aragosta, declinato in una versione più moderna, per la collazione Primavera Estate. Prima di loro, nel 2014, il pop di Moschino aveva riprodotto su abiti e accessori il mondo del fast food, entrando nel kitsch. La designer Gretchen Roehrs poi ha utilizzato il mondo della frutta e della verdura per realizzare particolari figurini, ancora una volta in bilico tra arte e moda.
Dalla cucina alla passerella, e dalla passerella alla cucina.
Questo strano amore è dunque cresciuto nel corso degli anni, sancendo un legame solido. Al punto da attirare l’attenzione del mondo del marketing, relativamente a prodotti sino poco tempo fa distanti dal fashion system.

Moschino
Bottiglie di liquore si sono rivestite di sfarzose stampe barocche firmate ad hoc da Versace
Anonime bottigliette di acqua sono aumentate di prezzo dopo l’apporto segnico di una fashion blogger. Persino la Coca Cola ha reclamato il proprio diritto al iper-glamour, lasciando decorare le sue lattine dal brand Moschino. Un amore che ritorna, eterno, sempre più forte di prima, come nel 2016, il rapporto tra Luisa Spagnoli e i Baci Perugina.
“Fantasia Italiana” è il nome del prodotto che ha riportato in vita lo storico inossidabile legame tra la creatrice di moda e i cioccolatini, del cui successo in passato fu artefice. Questo rapporto d’amore, strano, tempestoso, sincero, è un rapporto d’amore eterno. Alimentato dal desiderio del pubblico: possedere un nuovo abito prezioso e alla moda, mangiare un nuovo piatto esclusivo e sofisticato.
È questa la prerogativa nella relazione tra cibo e moda:
un desiderio che, come diceva Roland Barthes, è simile a «una fame amorosa che non viene saziata, un amore che rimane aperto».