Ostrea: La soddisfazione, almeno, è che l’hanno ‘imparata’ da noi

Sto parlando dei francesi e sto parlando dell’Ostrea

Già con lo champagne, che ci va d’amore e d’accordo, avevamo intavolato una diatriba similare. Se sia nato prima l’uovo titillans o lo champagne. La gallina margaritifera o la belon? Poco importa.

Non è un’idea gallica che l’ha fatta primeggiare sulle tavole dei caffé parigini ma l’efficiente Servizio Trasporti SPQR che già dal tempo della Repubblica le portava a Roma da Pozzuoli da Taranto dal Mar Nero.

Non ultima Ariminum, grande città del Nord diceva Sallustio. Le ostriche le aveva in casa da sempre.

Gabicce non sarà il Pan di Zucchero ma le ostriche sue son le migliori d’Italia e il primato della coltivazione delle ostriche è tutto nostro.

Fine primo atto. Secondo atto: guardala al mercato, sceglila scura e bagnata e pesala sulla mano. Aprila con l’apposito attrezzo e annusala.

Deve perdere la sua acqua e lasciare l’odore portuale di una femmina. Sii diffidente e amico. Scarta quella che non ti convince. Perché non ha colore pallidina leggera e mezza aperta.

Devi sentire che ne vinci la resistenza. Mondala dolcemente con le dita dei residui della sabbia, di qualche alone scuro. Staccala dal muscolo e adagiala in una bella porcellana bianca e rotonda. Senza ghiaccio per  gli amatori.

Accompagnale a braccetto, più per colore che per necessità, un mezzo limone giallo ed un ciuffo di prezzemolo. Sposala al tuo migliore amico di queste occasioni.

Un bianco profumato ma leggero nel sapore. Che non tolga all’ultimo bacio il persistente sapore del mare.

Il profumo delle onde e della brezza fredda e leggera dei primi giorni di sole. Atto terzo: ostracizzati dal primato noi, seduti al molo. La lana sulle spalle, il giornale sul tavolo. Le valve vuote e lo spirito sazio.

Teresio Troll

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