Sotto un cielo stellato, a Villa Montanari Rosati a Porto San Giorgio, è andata in scena l’alta moda di Vittorio Camaiani. Vittorio Camaiani si ispira a Marrakesh insieme alla presentazione dell’ultima fatica letteraria di Marina Ripa di Meana intitolata “Colazione al Grand Hotel”. Dedicata al rapporto dell’autrice con due grandi personaggi della scena culturale italiana, Moravia e Parise, sullo sfondo di una Roma ormai scomparsa. L’evento ha previsto dapprima una tavola rotonda, moderata brillantemente dalla giornalista Sabrina Biraghi, in cui si sono alternate considerazioni degli esperti di settore. La marchesa Marina Ripa di Meana ha iniziato il dibattito descrivendo gli anni della “Dolce vita” romana, epoca in cui è ambientato il suo volume, ed i luoghi cult di quel periodo.Il Grand Hotel vicino a Piazza dell’Indipendenza, il mitico bar Rosati di Piazza del Popolo ed anche l’atelier di moda che aveva la scrittrice e che all’epoca era situato in Piazza di Spagna.
Marina Ripa di Meana e Vittorio Camaiani sono da diversi anni amici e condividono la passione per l’arte, la letteratura e la moda.
La marchesa, infatti, descrive così lo stile del designer marchigiano:
“La moda di Camaiani è insolita, non è un’alta moda rigida, costruita e noiosa ma è moderna. Vittorio è un mago dell’ago ed in ogni collezione è presente sempre il tema del viaggio.”
Lo storico dell’arte Stefano Papetti si è soffermato invece sui mosaici che hanno ispirato la collezione dedicata al Marocco dello stilista. Nel mondo orientale il mosaico non rappresenta mai la figura umana perché non poteva essere raffigurata e Camaiani presenta così sculture fatte di stoffa che richiamano le decorazioni di Marrakesh.In chiusura del dibattito lo psicoterapeuta Alessandro Calligaro, che era proprio mesi fa insieme a Camaiani in viaggio in Marocco. Ha visto nascere dal vivo l’ispirazione del designer, si è soffermato sulla sfera personale femminile ed ha giustamente affermato:
“La personalità di una donna deve predominare sull’abito e non il contrario. Un abito è un’opportunità espressiva che una donna ha per farsi conoscere ed essa non deve farsi annullare dal vestito che indossa”.
La serata è proseguita con il defilè che ha riportato in vita la Marrakech di Yves Saint Laurent, un viaggio creativo tra passato e presente che avrebbe certamente affascinato anche Talitha Getty.
Fashion icon degli anni Sessanta che importò per prima l’estetica etno-chic dal Marocco a Roma.
Per il giorno predominano i colori gialli, rossi, ocra delle spezie, le bluse sono tutte in cachemire color carta da zucchero. Le spezie tornano poi nei riquadri sartoriali in cachemire, lane bouclé, tweed dei cappotti a vestaglia e nei ponchos. Il blu indaco dei mosaici della Madrasa Ben Youssef compare nelle tessere di lana bouclè appoggiate alla silhouette dei pantaloni o nelle tasche delle gonne in flanella grigia, in un gioco suggestivo e quasi futurista che compone e ricompone i disegni tipici dell’arte marocchina.
Per la sera, le bluse di organza di seta si colorano delle maxi tessere spruzzate di cristalli di un mosaico scomposto.
Abbinate a pantaloni neri decorati con tessere multicolore. Le tute caftano e gli abiti da sera alternano sapientemente i batik dipinti a mano su disegno dello stilista alle lane ricamate. Il metallo lavorato a mano di placche decorative che provengono dal souk di Marrakech si appoggia sulle spalle di giacche in flanella grigia e chiffon. Le calzature realizzate da Lella Baldi, che completano il look degli oufits proposti, sono stiletti e stringate che citano le babouches.I cappelli che accompagnano molti dei capi richiamano in versione femminile il tipico fez marocchino realizzato dal cappellificio Jommi Demetrio.A fine evento lo stilista ha salutato gli ospiti e le sue clienti, accorse da tutta Italia per ammirare la sua collezione, offrendo loro un brindisi e cous cous in tema Marocco.