Come recita un proverbio, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, <<se bello vuoi apparire un po’ devi soffrire>>. E nel passato, proprio l’intento di raggiungere bellezza e perfezione ha indotto la donna ad infliggersi pesanti sofferenze. C’è chi parla, a tal riguardo, di vere e proprie torture come quella che, non a caso, porta il nome dell’antica dea greca della bellezza. Noto, infatti, come Trappola di Afrodite, il corsetto o bustino, è certamente nella storia della moda, capo per eccellenza considerato croce e delizia per una donna. Il mito vuole che sia stata la divinità venerata dai Greci ad inventare quest’arma di seduzione, affinchè Era potesse utilizzarla per tenere in pugno il suo Zeus.
Bustino moda: la storia del corsetto
Nell’antichità il suo nome era ‘cestus’, una sorta di corsetto che lasciava i seni scoperti mettendo in risalto la silhouette e rendendo il corpo femminile particolarmente desiderabile. Circa due millenni prima della nascita di Cristo, sia le donne cretesi che quelle greche lo indossavano sfoggiando una vita assottigliata fino allo stremo. Un’usanza tramandatasi nei secoli fino a quando, a partire dal 1300, la trappola di Afrodite assume il nome di ‘corsetto’, termine derivato dal francese antico ‘cors’ che significa corpo. Dimostrazione, quest’ultima, dell’importante ruolo che l’ indumento rivestiva nell’accentuazione delle forme del corpo femminile. Una vera e propria costrizione, quasi una prigione, che, soprattutto, a partire dal Seicento, inizia a circondare e restringere fino allo svenimento il busto delle dame alle corti di Spagna e Francia.
Questi, nascosti dall’occhio ma percepiti da quante lo indossavano, rendevano impossibili anche i movimenti più semplici
A rendere il bustino un vero e proprio strumento di tortura erano fili di metallo che, posti al suo interno, accentuavano l’incavo della vita sollevando il petto. Il prezzo da pagare per apparire attraente erano dolori e difficoltà respiratorie che, non di rado, portavano allo svenimento. Pene alleviate, in parte, con la sostituzione delle stecche in metallo, prima con ossa di balena, e poi con trame in legno per arrivare, nel corso del XVII secolo, all’uso di reti di tessuti preziosi. Tuttavia, le stecche in metallo torneranno qualche tempo più avanti con la comparsa del corsetto ad ‘imbuto’. A renderlo in apparenza un delicato ornamento erano tessuti come seta, raso e pizzo che ne facevano un irrinunciabile trend della moda dell’epoca fino a che la Rivoluzione Francese non lo accantonerà portando il bustino a vivere un momento di crisi. Una piccola pausa che consente alla trappola di Afrodite di ritornare in campo più forte che mai agli inizi dell’Ottocento cambiando le sue fattezze. Morbidi e dotati di una struttura più flessibile, tanto da permettere maggiore libertà di movimento alla donna, i nuovi corsetti, a fine secolo, portano la firma di Warner Brothers.
Tutto qui? Ovviamente no
Tuttavia, quando il ‘900 bussa alle porte, per il bustino le sorti iniziano a peggiorare. La moda cambia rotta, influenzata da Paul Poiret che, proponendo il vestito chemisier, induce la donna ad abbandonare il tradizionale corsetto. Abbandono che avverrà definitivamente dopo la Prima Guerra Mondiale con la comparsa delle guaine elastiche, i reggiseni in cotone e i reggicalze. Determinante in questa evoluzione fu il ruolo di Madeleine Vionnet e Coco Chanel, antesignane del pensiero femminista, che liberano la donna da qualsiasi indumento soffocante che la rendesse prigioniera. Da allora, nel corso dei decenni la moda non ha, però, mai dimenticato quella shilhouette sottile e sensuale che solo il bustino era in grado di modellare.
Il corsetto nella storia: il bustino dal ‘900 ai giorni nostri
Così nel 1947, il New Look di Dior pur senza provocare alcuna costrizione, propone una collezione ispirata a quell’immaginario di femminilità. E le stesse orme le seguono Westwood, Thierry Mugler, fino a Karl Lagerfeld per Chanel e Prada. Come dimenticare, poi, il contributo di Jean Paul Gaultier che, negli anni ’90, si è ispirato allo storico corsetto per realizzare i costumi del Blond Ambition, Tour di Madonna. A tramandare l’iconico corsetto fino ai nostri giorni è stato poi anche il Cinema con indimenticabili corpi sinuosi a clessidra come quello sfoggiato da Sophia Loren nel film “La miliardaria”. Ed esempi della moda femminile ottocentesca li ritroviamo in “Titanic”, nella scena in cui Kate si fa aiutare da sua madre a stringere i lacci sulla schiena di un corsetto rimanendo senza fiato, nonché nella più recente e fortunata serie Netflix “Bridgerton”.
Strumento di inclusione e simbolo di una moda genderless
Dal grande schermo il corsetto arriva oggi in passerella indosso, non solo a donne ma anche a uomini. Privato degli elementi che lo rendevano una ‘trappola’, il bustino diviene, dunque, capo emblema della moda genderless. Non più simbolo del patriarcato che vedeva la donna unicamente come oggetto di desiderio, la trappola di Afrodite si trasforma in uno strumento di inclusione. Accade per mano di stilisti e maison come Dolce & Gabbana che lo propongono in sfilate maschili e femminili, nonché di celebrità come Lenny Kravitz e Damiano dei Måneskin. Spicca, poi, il nome di Lorenzo Seghezzi, giovane e talentuoso “stilista-corsettiere” queer: i suoi look dal punto vita strizzatissimo li abbiamo visti indosso a BigMama. Da prigione per il corpo femminile ad emblema di libertà d’espressione, l’evoluzione del corsetto non è stata certo immediata. Un lungo percorso, a momenti soffocante e sofferto, che ha finalmente trovato la giusta direzione da seguire perché anche la peggiore delle prigioni può trasformarsi nella migliore via di fuga.
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